Immagini materiali

1) IMMAGINE MATERIALE “EPIDERMIDE” DELLA COSA (MEMBRANA, CORTECCIA, SCORZA, …)

Il primo aspetto della visione lucreziana è la natura materiale delle immagini: esse sono costituite da atomi molto piccoli, tondi e lisci, che vengono emessi continuamente a grande velocità dalla superficie esterna dei corpi, mantenendo la forma e i colori del corpo al quale aderivano intimamente; non è un caso che per esprimere questi concetti Lucrezio usi termini come membranecortecce, scorze, tuniche, effigi, tenui figure, 

Dico igitur rerum effigias tenuisque figuras mittiter ab rebus summo de corpore rerum, quae quasi membranae vel cortex nominitandast, quod speciem ac formamsimilem gerit eius imago, cuiscumque cluet de corpore fusa vagari. Id licet hinc quamvis hebeti cognoscere corde. Principio quoniam mittunt in rebus apertis corpora res multae, partim diffusa solute, robora seu fumum mittunt ignesque vaporem, et partim contexta magis condensaque, ut olim cum teretis ponunt tunicas aestate cicadae, et vituli cum membranas de corpore summo nascentes mittunt, et item cum lubrica serpens exuit in spinis vestem (nam saepe videmus illorum spoliis vepres volantibus auctas), que quoniam fiunt, tenuis quoque debet imago ab rebus mitti summo de corpore rerum. (Tito Lucrezio Caro, La natura, Rizzoli, 1988, v. 46-64, pp. 244-245)

Su dunque, io dico che de’ corpi onora le tenui somiglianze e i simolacri  vengon dal sommo por vibrati intorno. questi da noi quasi membrane o bucce debbon chiamarsi, conciossia che seco portino sempre l’immagini‘l sembiante e la forma di quello ond’esse in prima staccassi, e per lo mezzo eran diffuse. E ciò quindi imparar, benché alla grossa, lice a ciascun. Pria perché molte cose vibran palesemente alcuni corpi lungi da sé, parte vaganti e sparsi, com’il fumo le querci, e le faville il fuoco, e parte più contesti insieme, come soglion talor l’antiche vesti spogliarsi le cicale allor che Sirio di focosi latrati il mondo avvampa, o quale appunto il tenero vitello lascia del corpo la membrana esterna nel presepio ove nasce, o qual depone lubrico sdrucciolevole serpente la spoglia infra le spine, onde le siepi delle lor vesti svolazzanti adorne spesso veggiamo. Or se tai cose adunque si fanno, è ben credibile che debba vibrar dal sommo suo qualunque corpo di se medesimo una sottile immago. (A. Marchetti, Della natura delle cose, Einaudi, 1980 v. 70-96, pp. 140-141)

Adunque dico che i corpi, dal loro involucro esterno emetton delle sottili figure e dei simulacri che quasi debbono dirsene una corteccia o membrane, perché per quanto l’immagine vada vagando staccata dal proprio oggetto, ne serba sempre l’aspetto e il profilo: e per ottusi che siamo, possiamo capirlo da questo: primo, perché molti corpi sperimentabili al senso, emetton atomi, parte che vagan sciolti, e in tal modi le legna emettono fumo, il fuoco emette calore; parte più fitti e intricati, come allorché le cicale smetton d’estate le loro rotonde tonache, e come quando i vitelli, nel nascere, lasciano andar le membrane del loro involucro, o quando, anche, il lubrico serpente sveste nei pruni la veste: vediamo infatti che spesso le loro spoglie ondeggianti vanno ad aggiungersi ai rovi. Se questo capita, deve essere emesso dai corpi, dal loro involucro esterno, anche il sottil simulacro. (B. Pinchetti, La Natura, Rizzoli, 1988, v. 46-62, pp.245-247)

Come ogni corpo possa emettere dalla sua superficie tenui effigi e labili immagini di sé stesso, quasi fossero membrane o cortecce, lo si può comprendere in vari modi. Alcune cose visibili rilasciano particelle che si disperdono, come il calore del fuoco o il fumo della legna che brucia. Altre lasciano delle vere e proprie impronte di sé: l’esoscheletro che le cicale cambiano d’estate, la pelle che i serpenti abbandonano tra i rovi, i sacchi amniotici che ancora avvolgono i vitelli dopo il parto. (P. Odifreddi, Come stanno le cose, Rizzoli, 2013, p. 149)

Come vediamo dall’esame dei termini usati da Lucrezio e dai suoi traduttori, l’immagine ha la consistenza di una pelle sottile, di una veste leggera che aderisce al corpo, della corteccia di un albero, della buccia di un frutto. Possiamo dire, dunque, che l’immagine che vediamo è il corpo così com’è, o meglio, è la parte più esterna, il corpo visibile.

Gli atomi che la costituiscono sono tenuti insieme da una sorta di leggera tessitura (contexta magis condensaque) che ne garantisce il mantenimento della forma originaria. Ritorna in un contesto diverso lo schema dell’intimo contatto che, abbiamo nei calchi e nelle impronte, garantisce la perfetta corrispondenza tra immagine ed oggetto. In questo caso, addirittura, è la”pelle” stessa del corpo che si stacca e si propaga fino a raggiungere i nostri occhi.

Questa consistenza materiale, per quanto tenue, fa dell’immagine una entità a sé stante. Essa esiste anche dopo che si è staccata dall’oggetto e, come tutti gli oggetti materiali, continua ad esistereanche nel buio, perché la luce (come vedremo nel prossimo paragrafo) svolge una funzione subordinata, di servizio, che è quella di “spazzare” l’aria dal buio che ostacola il movimento dei simulacri.

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