SORPRESA! LO SPECCHIO PIANO PRODUCE ANCHE IMMAGINI REALI
Quando trattano l’argomento dello specchio piano, i libri di ottica riportano unicamente la spiegazione di Keplero sull’immagine virtuale , che l’occhio vede, diritta e simmetrica, dietro lo specchio.
Si da per scontato che i raggi riflessi, essendo divergenti, non possano produrre un’immagine reale davanti allo specchio.
L’esperienza quotidiana sembra confermare questa convinzione.
Basta, infatti, tenere una candela accesa o una lampada davanti ad uno specchio per verificare che sulla parete di fronte non appare alcuna immagine della sorgente di luce, ma soltanto un rettangolo luminoso che riproduce la forma ingrandita dello specchio (vedi foto accanto).
Ebbene, la nostra esperienza ci ha mostrato che le cose non stanno affatto in questo modo, e che è possibile far apparire immagini reali e rovesciate (come quelle della camera oscura ) su uno schermo posto davanti allo specchio piano.
Questa scoperta, che allora destò molta sorpresa e un po’ di sconcerto, oggi ci appare di una estrema semplicità.
L’ANALOGIA TRA SPECCHI E FINESTRE
La chiave di volta della questione sta in ciò che abbiamo imparato con la camera oscura (uno strumento concettuale ben più potente di quanto si pensa normalmente ) e nella stretta analogia che abbiamo stabilito tra lo specchio e la finestra, al punto da considerare lo specchio come una “finestra sul mondo”.
Secondo questa analogia, cercare di osservare immagini reali davanti ad un normale specchio piano è come cercare di osservare immagini in una camera oscura, tenendo completamente spalancata la finestra.
Proviamo, invece, a domandarci che cosa succederebbe se provassimo a chiudere lo specchio fino a lasciarne scoperto solo un minuscolo frammento, così come nella camera oscura abbiamo chiuso le finestre lasciando aperto un piccolo spiraglio.
A questo punto sarà sufficiente prendere uno specchietto piano e coprirlo con un cartoncino opaco, sul quale avremo praticato un piccolo foro, che lascerà scoperto solo un frammento dello specchio.
Per analogia con il foro stenopeico, chiameremo questo frammento specchio stenopeico .
Come oggetto luminoso si potrà adoperare una candela o, ancora meglio, una forte lampada a filamento.
Il risultato è che su uno schermo posto davanti allo specchio apparirà un’immagine rovesciata della fiamma o del filamento.
Lo specchio stenopeico funziona esattamente come il foro stenopeico della camera oscura, con l’unica differenza che l’immagine reale e rovesciata anziché apparire ben visibile su uno schermo posto nel buio della camera, dovremo distinguerla con più fatica su uno schermo in un ambiente illuminato). Ora è evidente che anche nell’esperienza quotidiana può capitare molto più facilmente di osservare le immagini prodotte da un foro in una stanza oscurata, che non quelle di un frammento di specchio in una stanza completamente illuminata.
Con questa esperienza noi ci troviamo di fronte ad una nuova contraddizione del criterio di convergenza-divergenza: anche lo specchio piano stenopeico, come già il foro stenopeico, produce immagini reali rovesciate attraverso piccoli fasci divergenti.
Ciò che conta non è la divergenza dei fasci di luce, ma solo la loro apertura, che regola il grado di nitidezza dell’immagine.
Ciò che è in gioco non è la natura reale o virtuale delle immagini, ma solo il loro grado di nitidezza e visibilità.
ANALOGIA TRA SPECCHI E LENTI
Sarà opportuno a questo punto sottolineare la stretta analogia esistente tra gli specchi e le lenti. Abbiamo già anticipato nel capitolo dedicato alla camera oscura, che la funzione della lente convergente ( biconvessa ) non è quella di produrre le immagini, ma di concentrarle ad una opportuna distanza. Essa svolge, pertanto, una funzione del tutto analoga a quella della specchio concavo, che abbiamo appena visto.
Allo stesso modo una lente divergente ( biconcava ) produce una dispersione della immagini, analoga a quella dello specchio convesso.
UNA DIVERSA INTERPRETAZIONE DELLA LEGGE DEI PUNTI CONIUGATI
Vale la pena di chiedersi, ora, a quale distanza dallo specchio ( o lente ) convergente si realizzerà la sovrapposizione delle immagini elementari. Sarà, infatti, proprio a quella distanza che dovremo piazzare lo schermo per poter osservare una immagine complessiva nitida e luminosa.
Nel caso dello specchio convesso divergente ( o della lente biconcava divergente ) lo schermo potrà mostrare soltanto un chiarore diffuso, dovuto alla dispersione delle immagini elementari. La convergenza e sovrapposizione delle immagini potrà, dunque, essere solo una convergenza virtuale operata dall’osservatore che guarda verso lo specchio o la lente. Abbiamo già scoperto che questa immagine virtuale viene percepita come situata “dietro “ lo specchio e la lente, dalla parte opposta a quella dove si colloca solitamente lo schermo per osservare le immagini reali. In questo caso la domanda diventerà:
“ A quale distanza ( dietro lo specchio o la lente ) l’osservatore vedrà l’immagine virtuale complessiva?”.
La risposta alle due differenti domande che abbiamo formulato viene dalla legge dei punti coniugati, la legge che “coniuga” la posizione dell’oggetto con quella della sua immagine.
Essa viene normalmente espressa nella forma: 1 / p + 1 / q = 1 / f, dove p indica la distanza dell’oggetto dallo specchio o dalla lente, q è la distanza dell’immagine ed f è la distanza focale dello specchio o della lente ( la distanza del punto nel quale convergono i raggi luminosi paralleli all’asse ottico principale ).
Le figure seguenti mostrano chiaramente l’impostazione usuale che i libri di testo danno alla questione.
Tutti i quesiti posti negli esercizi dei manuali scolastici sono formulati sostanzialmente nei seguenti termini:
“ Posto un oggetto ad una data distanza p da uno specchio ( o lente ) avente la distanza focale f, si otterrà una immagine reale o una immagine virtuale?
Questo modo di formulare le domande finisce per rafforzare due idee che si stanno rivelando pre-concette ed errate alla luce di quanto veniamo scoprendo:
a) L’immagine reale e quella virtuale sono in alternativa, l’una esclude l’altra. Noi abbiamo visto, invece, che coesistono e cambia solo il modo di osservarle (occhio e schermo, occhio soltanto).
b) L’immagine (reale o virtuale) è concepita al singolare. Noi abbiamo visto che l’immagine osservata risulta in realtà dalla sovrapposizione di molteplici immagini elementari.
UN DIVERSO MODO DI FORMULARE I QUESITI
A nostro avviso le domande andrebbero riformulate all’incirca nel modo seguente:
Nelle date condizioni sarà possibile concentrare le immagini elementari su uno schermo?
In caso affermativo, a quale distanza deve essere posto lo schermo?
In caso negativo, a quale distanza virtuale l’occhio farà convergere le immagini?