GLI SPECCHI CURVI: CONCAVI E CONVESSI
L’idea di curvare lo specchio piano per “concentrare” le immagini reali
Nei manuali scolastici si comincia a parlare di immagini reali solo con la trattazione degli specchi concavi.
E’come se gli specchi curvi acquisissero in tal modo una “natura” differente rispetto a quelli piani.
In realtà, abbiamo visto, che uno specchio piano può essere considerato come un mosaico di specchi stenopeici, ognuno dei quali produce un’immagine reale e rovesciata dell’oggetto.
Poiché, però, ogni immagine occupa una posizione differente rispetto alle altre, ne risulterà una illuminazione pressoché uniforme, nella quale le immagini non saranno distinguibili.
Se si riuscisse a concentrare e sovrapporre tutte le immagini in uno stesso punto, esse darebbero luogo ad un’immagine molto nitida ed anche molto luminosa. Come fare per ottenere questo risultato?
La soluzione è abbastanza intuitiva e gli studenti sono in grado di giungervi spontaneamente: basta curvare lo specchio, conferendogli una forma sferica. In tal modo ogni parte dello specchio acquisterà una inclinazione differente e farà convergere l’immagine di sua competenza nella zona stabilita.
Il dispositivo può essere realizzato in modo molto semplice, allineando ed incollando dei piccoli specchietti ( di quelli usati per le decorazioni ) su un cartoncino flessibile.
Mettendo il piccolo mosaico così realizzato di fronte al filamento di una lampadina, si vedranno proiettati su una parete tanti filamenti rovesciati quanti sono gli specchietti. Si osserverà poi che curvando il cartoncino le immagini si avvicineranno fino a sovrapporsi in una zona centrale.
Consideriamo a questo proposito due interessanti precedenti storici, che risalgono ai tentativi di ricostruire lo specchio ustorio che, secondo la leggenda, Archimede avrebbe utilizzato per incendiare le navi romane che assediavano Siracusa.
Nel 1747 Buffon propone un dispositivo che utilizza un mosaico di piccoli specchi piani orientabili singolarmente con apposite viti (foto sotto); in tal modo i raggi del sole possono essere concentrati alla distanza stabilita di volta in volta. Il ricorso agli specchi piani è giustificato dalle difficoltà che comporta la fabbricazione di specchi curvi di grandi dimensioni.
Quasi cento anni prima di Buffon, nel 1646, anche Athanasius Kircher aveva pensato di ricorrere ad una serie di specchi piani, disponendoli, però, su una base circolare.
L’aspetto che riveste un particolare interesse ai fini del nostro discorso, risiede nel fatto che in questo schema appaiono chiaramente le immagini del sole prodotte dagli specchi piani sullo schermo lontano; poiché, tuttavia, l’attenzione è polarizzata sull’effetto termico “ ustorio ” che si vuole ottenere, l’aspetto ottico non viene considerato. Dal nostro punto di vista, invece, basterebbe aggiungere un paio d’occhi, un naso e una bocca rovesciati, per mostrare che il cerchio sullo schermo è dato dalla sovrapposizione delle immagini del sole.
A seconda del raggio di curvatura il luogo della sovrapposizione sarà più vicino o lontano dallo specchio. Ponendo lo schermo a quella precisa distanza, le immagini elementari ( reali ) saranno nella condizione di massima sovrapposizione e formeranno una immagine complessiva molto nitida e luminosa. Quando lo schermo si discosta da quella posizione, l’immagine perde la sua nitidezza, perché le immagini non sono più ben sovrapposte tra di loro.
Da questo discende una considerazione importante per la nostra revisione della definizione di immagine reale e virtuale.
Infatti, se lo schermo viene posto ad una distanza leggermente inferiore esso intercetta le immagini “prima” della loro sovrapposizione, quando i raggi luminosi sono ancora convergenti; se, invece, viene posto ad una distanza leggermente maggiore esso intercetta le immagini “dopo” la loro sovrapposizione, quando i raggi diventano divergenti.
Nessuna differenza, tuttavia, potrà notarsi sullo schermo in queste due diverse posizioni.
Dunque, abbiamo un nuovo motivo per pensare che il criterio della convergenza/divergenza sia del tutto indifferente al fine di decidere la realtà o virtualità dell’immagine. In entrambi i casi si tratta di immagini elementari reali, che daranno luogo a due immagini complessive anch’esse reali, aventi lo stesso grado di nitidezza ( stigmatismo).
LO SPECCHIO CONVESSO “DISPERDE” LE IMMAGINI ELEMENTARI
Se lo specchio fosse convesso, anziché concavo, le immagini elementari sarebbero disperse in tutte le direzioni e non potrebbero dar luogo ad una immagine complessiva di nitidezza sufficiente a renderla visibile; l’immagine complessiva sarebbe totalmente “sfuocata” ( astigmatica ) e lo schermo risulterebbe uniformemente illuminato.
Anche in questo caso non sarebbe corretto affermare che non si formano immagini reali, ma solo che le le immagini elementari reali non permettono l’osservazione di una immagine complessiva nitida ed osservabile su uno schermo. A questo punto l’unica concentrazione possibile delle immagini è quella virtuale realizzata dal sistema visivo dell’osservatore.