MODELLO “STATICO” DELLA LUCE
Nella percezione immediata e nel senso comune accendere la luce significa ristabilire istantaneamente le condizioni di visibilità.
Tutto è perfettamente immobile: le sorgenti accese, le pareti e gli oggetti illuminati. Niente suggerisce che “qualcosa” si stia propagando dalla sorgente agli oggetti circostanti e ai nostri occhi.
La luce è considerata “ uno stato”: C’è luce, si vede. C’è buio, non si vede.
Nella visione più ingenua è come se la luce restituisse allo spazio la sua trasparenza, sgombrandolo della sostanza oscura che lo aveva invaso e ci impediva la vista degli oggetti.
Vale la pena, a tale proposito, di ricordare come anche un filosofo della portata di Aristotele si opponesse all’idea della emissione (e successiva propagazione ) di un “quid” da parte della sorgente luminosa.
Egli preferiva pensare, invece, che l’accensione della sorgente stimolasse nel mezzo interposto (aria, acqua, vetro ) una condizione di trasparenza ( diafano, da dia=attraverso e faino=apparire, vedere).
“ Una volta per tutte, è preferibile convenire che la sensazione (visiva) nasce dal movimento (*) eccitato nel mezzo intermedio, piuttosto che riportarla ad un contatto diretto o una emissione”
“ Il corpo diafano al buio è in una condizione potenziale: è diafano in potenza. Lo stesso corpo si dice che è in luce, quando è diafano in atto.”
“ la luce è come l’anima del diafano, la sua vitalità, mentre lo stesso diafano nelle tenebre è come morto”. (Aristotele, De Anima )
La visibilità dipende, quindi, dallo “stato” del mezzo trasparente intermedio e non da una propagazione della luce (idea confermata dal corollario che nel vuoto l’occhio non potrebbe vedere ).
AZIONE STATICA A DISTANZA
La questione ha implicazioni molto rilevanti sul piano epistemologico, perché rappresenta un caso particolare del dibattito sulla cosiddetta “azione a distanza”, che ha attraversato tutti i campi della fisica, dalla gravitazione all’elettromagnetismo.
Sapere che Isaac Newton è stato il massimo sostenitore di questa teoria ci consiglia di non liquidare questa idea come se fosse semplicemente frutto di un pensiero “ingenuo” .
L’azione a distanza è un modo di interpretare l’interazione tra due corpi separati nello spazio ( due masse che si attraggono per gravità; due cariche elettriche che si attraggono o si respingono ).
L’idea è che l’interazione si verifichi per la sola “presenza” dei due corpi, senza bisogno di intermediari, e che dipenda solo dalla distanza tra i due corpi, oltre che dalle loro caratteristiche fisiche ( masse o cariche).
L’attenzione è spostata sui corpi, lo spazio intermedio non ha alcun ruolo, salvo quello di determinare una distanza di separazione.
Non è azzardato ritenere che questo schema mentale si possa applicare al nostro teatro di luci e ombre, e che sia alla base della visione statica del fenomeno luminoso, esaminata in precedenza .
Si può pensare, in sostanza, che l’illuminazione dei corpi si verifichi solo per il fatto che ci sia una sorgente accesa e che il suo valore dipenda esclusivamente dalla distanza e dall’intensità della sorgente.
La percezione sensoriale, oltretutto, sembra sostenere questa convinzione: l’illuminazione si verifica nel momento stesso in cui la lampada viene accesa!