LA TERMINOLOGIA DEI CORPI ILLUMINATI
Come abbiamo detto più volte, il primo approccio che si dovrebbe avere con l’argomento che si vuole studiare, è quello che passa per il vocabolario. Le parole che sono state inventate per descrivere i fenomeni , sono il prodotto di un millenario sforzo di comprensione, una eredità preziosa che dobbiamo mettere a frutto.
Quando i corpi vengono illuminati noi li chiamiamo: opachi, trasparenti, lucidi, traslucidi, pellucidi, brillanti, diafani, limpidi, torbidi, chiari, opalescenti, iridescenti, …
Ognuno di questi termini tenta di descrivere un diverso aspetto della interazione tra il corpo e la luce che lo illumina, ma l’uso approssimativo e inconsapevole che ne facciamo rischia di creare una certa confusione.
E’ probabile, ad esempio, che il termine “opaco” evochi per contrapposizione il termine “lucido“, richiamando le esperienze che quotidianamente facciamo sfogliando le pagine lucide (patinate) delle riviste e quelle opache dei quotidiani, associandole magari alle sensazioni di “liscio” e “ruvido“, che esse provocano sui nostri polpastrelli. Ancor più probabile è che ripensiamo alle nostre mamme indaffarate a lucidare ogni angolo della casa (mobili, vetri, pavimenti, piastrelle, sanitari, stoviglie, posate, soprammobili, …) resi opachi dalla polvere, dall’umidità o dalla ossidazione. Le ripensiamo armate dei prodotti miracolosi offerti dalle pubblicità che promettono il lucido più splendente e brillante.
Poi apriamo il vocabolario o il libro di fisica e ci spiegano che opaco è tutto ciò che non ci permette di vedere attraverso e non permette alla luce di attraversarlo . Dunque, il pavimento, appena “lucidato a specchio”con grande fatica, è da considerarsi opaco perché non ci permette di vedere cosa succede al piano di sotto e non permette alla luce di attraversarlo. Lo stesso dicasi per il vassoio d’argento appena lucidato coll’Argentil : è opaco perché non ci si vede attraverso e non fa passare la luce (chi glielo dice alla mamma?).
Ma se le cose stanno così, se opaco significa non-trasparente, allora, ci chiediamo: l’opposto di opaco è lucido o trasparente? C’è un po’ di confusione.
La confusione è destinata ad aumentare se passiamo ad esaminare il termine trasparente.
In questo caso è probabile che le esperienze più comuni della trasparenza siano legate all’acqua, all’aria, ai vetri delle nostre finestre, ma non diciamo forse che anche un foglio di carta velina è così sottile da essere trasparente? Perfino la stoffa di un vestito può lasciar “trasparire” quello che c’è sotto. Sembra quasi che trasparente diventi a volte sinonimo di sottile. La trasparenza è quella che usiamo a volte per ricalcare i disegni, magari appoggiandoli al vetro della finestra perché la luce faccia trasparire meglio il disegno sottostante. Dunque la carta velina, la carta da forno, una stoffa leggera, un velo, dovrebbero essere considerati trasparenti. Invece no! Il vocabolario e il libro di fisica di dicono che essi devono essere considerati traslucidi! Traslucidi? Ma la carta velina o la stoffa non sono lucidi, sono opachi? A questo punto ci spiegheranno che lucido e traslucido non sono la stessa cosa, così la nostra confusione sarà totale.
Cercheremo, allora, di chiarire i significati dei diversi termini, facendo ricorso ad una sorta di metodo linguistico-sperimentale che utilizza contestualmente le risorse del vocabolario e quelle dell’esperienza di laboratorio.