CAPITOLO 1
PERCHÉ IL RUOLO DEI GENITORI E’ FONDAMENTALE
La prima di queste ragioni e’ che i genitori sono stati i primi punti di riferimento fondamentali per la crescita affettiva e cognitiva del bambino, e continueranno ad esserlo anche dopo il suo ingresso nella scuola, fino alle soglie dell’età adulta, attraverso i passaggi cruciali della pubertà e dell’adolescenza. L’esperienza che essi hanno maturato in quel periodo decisivo per il futuro sviluppo del bambino, rappresenta un patrimonio prezioso, che merita di essere adeguatamente conosciuto e valorizzato.
Vale la pena di ripercorrere le tappe del cammino che tutti abbiamo percorso, a partire dal momento stesso del concepimento e della gestazione della nostra vita.
Questo ci permetterà, da un lato, di apprezzare tutta la valenza del ruolo genitoriale e, dall’altro, di precisare quando e come nella mente del bambino cominciano a costruirsi i presupposti necessari alla formazione del suo pensiero (di quello scientifico in particolare).
Non dobbiamo dimenticare che ogni bambino entra a scuola portando sulle sue piccole spalle una storia di tre anni, che per intensità e ricchezza equivale a qualche decennio dei nostri.
Per una ricostruzione che fosse al tempo stesso sintetica ed autorevole, ci siamo avvalsi della Guida Pratica alla Genitorialità Positiva elaborata da Save the Children Italia e finanziato dalla Commissione Europea nel quadro del programma DAPHNE III.
Il nostro excursus si limita al periodo pre-scolare, ma la guida si estende fino all’adolescenza (14-18 anni), confermando così che il ruolo del genitore resta fondamentale per un arco di tempo ben più lungo, e probabilmente non termina mai.
Il periodo della gravidanza
Il rapporto del bambino con i genitori comincia ancora prima della nascita. Durante i primi tre mesi di gravidanza si formano le strutture fondamentali del cervello del feto. Alla 30.ma settimana può sentire i suoni che provengono dal mondo esterno, si muove seguendo il ritmo delle parole pronunciate dalla madre, e ne riconoscere la voce. Comincia così il processo di attaccamento del bambino al genitore. Le condizioni in cui si svolge la gravidanza gettano le basi della relazione madre – figlio e definiscono il clima emotivo del mondo in cui entrerà il bambino alla sua nascita.
Altrettanto importanti sono gli aspetti “fisici”del mondo intra-uterino in cui vive.
Come un piccolo astronauta, il bambino galleggia sospeso nel liquido amniotico, libero di fare le sue acrobazie, senza che una forza misteriosa lo trascini e lo schiacci sul fondo.
Un’oscurità densa lo avvolge, impedendogli di distinguere la forma stessa del suo corpo, che a poco a poco impara a scoprire attraverso il tatto e le sensazioni provenienti dal suo interno.
Un ritmo di colpi molto forti scandisce quell’oscurità, impedendo che essa diventi anche silenzio; di tanto in tanto il ritmo accelera, altre volte rallenta, ma per lunghi periodi pulsa regolare e rassicurante.
E’ il cuore della sua mamma che batte quel ritmo, trasmettendogli le sue emozioni.
Un altro ritmo lo culla, invece, con un piacevole dondolio, che si acquieta solo verso sera: sono i passi e i movimenti che la mamma compie durante il giorno.
Un mondo limitato, certamente, ma che assicura al bambino tutto il necessario, senza bisogno che lui ne faccia richiesta. Non conosce ne’ caldo ne’ freddo in quell’ambiente a temperatura costante di 37°; non conosce ne’ fame ne’ sete, perché da quel cielo senza stelle, che è la placenta, scendono come una “manna” fino al suo ombelico, il cibo e l’ossigeno di cui ha bisogno.
Cosa desiderare di più in quel mondo in cui tutto gli viene dato senza chiedere?
Non è un caso che tutte le antiche culture abbiano immaginato una mitica “Età dell’Oro” o un “Paradiso Terrestre” in cui gli uomini vivevano felici senza fatica. Questa vita felice ogni essere umano l’ha veramente vissuta nel grembo della propria madre. E’ l’esperienza più universale che esista, insieme a quella traumatica della nascita, che rappresenta una vera e propria “cacciata dal Paradiso”. Ma e’ necessario che così sia, perché quel mondo e’diventando troppo angusto e soffocante, pericoloso per il bambino e per la madre.
Il parto e la nascita
Quello della nascita e’ il passaggio più rischioso e traumatico della vita del bambino e, anche se verrà dimenticato e rimosso, lascerà profonde tracce nel suo sviluppo futuro.
Violente contrazioni avviano questo passaggio provocando la lacerazione delle membrane che contengono il liquido amniotico, dando luogo a quella che, con un termine dal sapore vagamente biblico, viene chiamata “la rottura delle acque”.
E, in effetti, si tratta di un evento di portata “epocale”, paragonabile, su scala evolutiva, a quello ha portato le prime forme di vita ad uscire dall’acqua per colonizzare la terra.
Così il bambino esce dalle “acque materne” e si prepara ad entrare in un mondo diverso, in cui si troverà immerso in un nuovo elemento: l’aria, più sottile e impalpabile dell’acqua, ma ugualmente avvolgente e penetrante.
Dopo la fuoriuscita del liquido il bambino comincia a spingere con la testa sulla “porta stretta”, che lo porterà all’esterno. E’ uno sforzo enorme, ma il bambino e’ in grado di sopportarlo.
Lo schiacciamento dovuto alle contrazioni diminuisce il flusso di ossigeno all’interno del
cordone ombelicale, aumenta la pressione sanguigna e la frequenza cardiaca accelera fino a circa 140 battiti al minuto, per poi normalizzarsi durante le pause tra una doglia e l’altra.
Finalmente la porta si apre e la testa può infilarsi nel canale del parto dove sentirà un senso di schiacciamento, una specie di “cerchio alla testa”. Questa è la fase di maggiore impegno, sia per la mamma sia per il bambino: per coprire una distanza di soli 10-12 cm occorreranno circa tre quarti d’ora. Il canale è largo esattamente quanto la circonferenza delle testa (circa 30 cm) e le morbide pareti premono con decisione sul piccolo: alle contrazioni dell’utero si sono aggiunte le spinte da parte della madre. La sensazione, per lui, è quella di un vigoroso massaggio.
Ora il suo organismo sta affrontando una prova faticosa. È come se un adulto continuasse a correre i 100 metri per un’ora, facendo solo brevi pause per riprendere fiato.
Ma, ecco che l’impegno viene ricompensato. La testa esce completamente e c’è lo stupore della luce improvvisa, una luce indistinta e confusa, una grande novità in confronto all’oscurità dalla quale proviene. Un’ultima spinta ed escono anche le spalle e infine l’intero corpo.
C’è un momento di “apnea fisiologica”, ma infine l’aria affluisce nel corpo, seguita da un pianto liberatorio. Che cosa significa questo primo strillo? Sollievo per avere superato l’ostacolo? Fastidio per il gas sconosciuto che irrita i polmoni? Disagio per il freddo sulla pelle? Forse tutte queste cose insieme. Ma è un disorientamento di breve durata, perché il bambino viene subito adagiato sul ventre materno, dove ritroverà il tepore, l’odore e il ritmo del cuore che lo hanno accompagnato per nove mesi.
Dalla nascita ai 2 anni
I bambini appena nati non hanno alcuna esperienza del mondo, ma durante i primi due anni della loro vita si svilupperanno in un modo straordinario. Impareranno moltissimo su di noi e sul rapporto che ci lega. I tre fattori di sviluppo principali in questa fase sono: attaccamento, linguaggio e indipendenza.
Attaccamento
Nel primo anno di vita i bambini non riescono a capire bene il mondo che li circonda e quindi non sanno come ottenere ciò di cui hanno bisogno. Non sanno parlare, ma per fortuna hanno un riflesso innato che li aiuta a comunicare: il pianto. Piangere è un istinto di sopravvivenza per il bambino, è un segnale con il quale il bambino chiede ai genitori di essere aiutato. Il pianto è anche la base per costruire un legame emotivo unico ed estremamente forte tra genitori e figli.
Nel primo anno di vita i bambini piangono per diversi motivi: hanno fame, hanno sete, sentono troppo caldo o troppo freddo, possono avere allergie ad alcuni alimenti, , sono nella fase della dentizione, hanno febbre, mal di testa, mal di stomaco, mal di gola, nausea.
A questa età i bambini piangono anche per un altro motivo: il loro cervello si sta “organizzando”. È normale che si mettano a piangere ogni notte alla stessa ora. È il segno che i loro corpi e i loro cervelli stanno sviluppando un proprio ritmo e piangere fa parte di questo processo. Non capiscono ancora perché piangono e quindi possono anche spaventarsi del loro stesso pianto. Con il tempo però riusciranno a capire se al loro pianto i genitori rispondono e vengono in loro aiuto. Il pianto di un bambino al primo anno di vita è una grande opportunità per i genitori per costruire una solida base per il loro rapporto futuro.
In questa fase dello sviluppo il pianto è il linguaggio con cui il bambino comunica che si trova in difficoltà. Quando noi rispondiamo al loro pianto i bambini imparano che possono contare su di noi: capiscono che gli daremo aiuto e conforto. In questo modo svilupperanno fiducia e un forte attaccamento nei nostri confronti. Un bambino che non riesce a smettere di piangere deve sentire la nostra presenza; ha bisogno di essere preso in braccio e consolato. Non bisogna aver paura di viziarlo: non è possibile a questa età. Il compito principale dei genitori nel primo anno di vita del bambino è quello di dare al proprio figlio un ambiente sicuro e affettuoso.
In questo periodo i bambini hanno soprattutto bisogno di affetto. Non sono ancora in grado di comprendere le regole, non riescono a capire quello che stiamo provando noi o quello che gli diciamo. Invece capiscono molto bene cosa significa sentirsi al sicuro quando stanno insieme a noi. Hanno bisogno soprattutto di essere abbracciati, coccolati, cullati, tenuti in braccio. Questo affetto fisico è fondamentale per poter instaurare un rapporto solido con il bambino. Se il bambino si sente al sicuro e protetto allora svilupperà un forte attaccamento.
Perché è importante che ci sia un forte attaccamento genitore-figlio?
1. I bambini che si fidano delle persone che si prendono cura di loro si sentono emotivamente più sicuri di sé. È più facile riuscire a confortarli se sono agitati e quando saranno più grandi riusciranno a separarsi dai genitori più facilmente. Hanno una minore probabilità di diventare ansiosi e timorosi.
2. I bambini che si fidano delle persone che si prendono cura di loro tendono a fidarsi anche degli altri perché si aspettano che anche gli altri siano affidabili ed attenti. Quindi hanno una maggiore probabilità di sviluppare delle relazioni positive con i propri fratelli e sorelle, compagni e insegnanti.
3. I bambini che in questa fase del loro sviluppo si sentono al sicuro hanno una maggiore probabilità di diventare bambini che amano esplorare il proprio ambiente perché sono convinti di non correre pericoli. E l’esplorazione è fondamentale per lo sviluppo cerebrale di un bambino. Grazie a questa, infatti, imparano nuovi concetti come numeri e colori, forme e suoni, dimensioni e peso. Più i bambini riescono a esplorare e comprendere il mondo che li circonda sentendosi al sicuro, più saranno pronti ad affrontare l’ingresso a scuola quando arriverà il momento.
Linguaggio
Man mano che i bambini crescono imparano gradualmente a comunicare più con il linguaggio verbale che con il pianto. A circa sei mesi cominciano a “balbettare” e a pronunciare suoni come “ba”, “da”, “ma”. Quando i genitori rispondono ripetendo gli stessi suoni, i bambini cominciano a imparare la loro lingua madre. Capiscono quali sono i suoni importanti e imparano a usarli ripetendoli. Con il tempo quei suoni diventeranno vere e proprie parole. Quando i genitori rispondono a queste prime forme di comunicazione sorridendo o incoraggiandoli, i bambini imparano che quando parlano vengono ascoltati. Questo è uno degli elementi fondanti del vostro rapporto: la comunicazione.
Perché questa prima forma di comunicazione è così importante?
1. In questo modo i bambini imparano a esprimersi e capiscono che voi li ascolterete. In questa prima fase dello sviluppo i genitori possono insegnare al bambino come esprimere i suoi sentimenti e dimostrargli che sono pronti a rispettare il loro tentativo di comunicare.
2. Se le persone che si prendono cura del bambino reagiscono a una risata, un balbettio o alle sue prime parole incoraggiandolo, allora il bambino avrà una maggiore probabilità di sviluppare un vocabolario ampio. E se avranno un maggior numero di parole a loro disposizione per riuscire ad esprimersi impareranno anche a raggiungere più facilmente i loro obiettivi utilizzando la comunicazione verbale.
Indipendenza
A circa sei mesi il bambino comincia a gattonare. Si tratta di un enorme cambiamento!
I genitori ora non possono mai perderlo di vista perché ancora non capisce che può farsi del male, fare del male ad altri o può danneggiare degli oggetti. Eppure il movimento è essenziale per lo sviluppo del cervello e del corpo. Quando i genitori rispondono a queste prime forme di comunicazione facendo dei sorrisi o incoraggiandoli, i bambini imparano che quando loro parlano vengono ascoltati.
In questa fase i bambini imparano a utilizzare i muscoli, ad aggrapparsi, a masticare. Adorano afferrare gli oggetti e metterli in bocca. Non lo fanno per “comportarsi male”, ma per esercitare i loro muscoli. Imparano a utilizzare le mani e le dita, imparano a masticare per poter essere poi in grado di mangiare cibo solido e di parlare.
Verso la fine del primo anno di età il bambino impara a camminare. Per loro questa è un’esperienza entusiasmante, possono andare ovunque vogliano e arrivare a oggetti a cui prima non arrivavano. Adorano esplorare ogni angolo di una stanza e toccare e mettere in bocca tutto!
Questa esplorazione è un vero e proprio viaggio di scoperta per un bambino. È così che impara a conoscere il mondo affascinante che lo circonda; inoltre è assolutamente necessario per il suo sviluppo cerebrale.
A questa età prendono un oggetto e lo fanno cadere a terra più volte, perché così facendo imparano il concetto di “cadere”, “rimbalzare”, “rompere”. Toccano il cibo con le mani per comprenderne la consistenza, mettono in bocca i giocattoli per scoprirne il gusto e sputano il cibo per capire cosa si prova a sputare.
Questi non sono comportamenti da bambino “cattivo”, ma è quello che deve fare un bambino in questa fase della sua crescita per scoprire il mondo. I bambini diventano veri e propri esploratori e se impediamo loro di esplorare si agitano, piangono, sbattono i piedi in terra perché li stiamo ostacolando nel loro desiderio di imparare. Desiderano solo imparare a conoscere il mondo.
I bambini hanno bisogno di esplorare. È così che imparano, ed è assolutamente necessario per il loro sviluppo cerebrale.
I genitori devono dare ai propri figli un ambiente sicuro.
Ecco alcuni consigli per rendere la vostra casa “a prova di bambino”.
Eliminate tutti gli oggetti con cui il bambino potrebbe soffocare.
Riponete tutti gli oggetti taglienti e fragili e le sostanze velenose in un ripiano alto o in un armadietto chiuso a chiave. Coprite tutte le prese elettriche.
Tenete coltelli, attrezzi e medicinali in un armadietto o cassetto chiusi a chiave. Tenete i manici delle padelle rivolti verso il centro del piano cottura.
Fissate gli oggetti pesanti in modo che non possano essere tirati verso il basso.
I genitori devono quindi fare in modo che il mondo che stanno esplorando sia sicuro. Grazie a questa esplorazione i bambini imparano molte cose velocemente. Vogliono conoscere il nome di ogni oggetto e se li incoraggiamo in questa attività impareranno uno straordinario numero di parole molto velocemente, svilupperanno un vocabolario ampio e si innamoreranno delle parole. È un’ottima occasione per arricchire il linguaggio del bambino parlandogli e descrivendogli tutto quello che vedono o leggendo per loro, ascoltando quello che dicono e rispondendo alle loro domande.
Una delle prime parole che imparano i bambini è “No!”. Quando i bambini di questa età dicono “No!” non vogliono essere disubbidienti o ribelli, ma stanno cercando di dirci quello che provano. Infatti anche se hanno già imparato il nome di molti oggetti, non sanno ancora come descrivere i loro sentimenti. Quindi un bambino che dice “No!” forse sta cercando di dirci: non mi piace; non voglio andare via; voglio quello; voglio scegliere io i miei vestiti; sono arrabbiato.
Pronunciando questo “No!” i bambini manifestano e mettono in pratica la loro indipendenza. Non stanno cercando di farci fare tardi, o di farci impazzire. Non stanno cercando di sfidarci o di essere egoisti, ma ci stanno dicendo che vogliono prendere le loro decisioni. Inoltre non sanno quello che proviamo noi e quello di cui abbiamo bisogno; infatti non sono ancora in grado di comprendere i sentimenti degli altri.
In realtà un bambino da 1 a 3 anni, prova molto spesso sentimenti di grande frustrazione. Vuole essere indipendente, ma non possiamo permetterglielo sempre. Quando siamo noi a dire “No!” a loro, lo facciamo per proteggerli e insegnare delle regole importanti, ma loro non capiscono le nostre motivazioni, provano solo la frustrazione di sentirsi dire “No!”.
A volte il bambino reagisce facendo i capricci. Infatti la frustrazione cresce e lui non sa come esprimerla a parole. Il suo linguaggio non è abbastanza sviluppato per esprimere i suoi sentimenti e quindi crolla in uno stato di tristezza, frustrazione e rabbia. Esprime questi sentimenti piangendo, gridando e gettandosi a terra. Queste reazioni sono più frequenti quando il bambino è stanco, ha fame o sete o ha superato il suo limite di sopportazione.
Se riusciamo a capire quello che prova il bambino allora possiamo dimostrargli come gestire questa rabbia ed esprimere i sentimenti in un modo costruttivo.
Età prescolare (dai 3 ai 5 anni)
Se durante la prima infanzia avremo incoraggiato e sostenuto i nostri figli rispettando la loro identità, man mano che cresceranno avranno voglia di imparare sempre di più.
Ci faranno moltissime domande e svilupperanno un vocabolario molto ampio.
Tuttavia, anche se acquisiscono sempre più informazioni, non sanno ancora come funzionano molte cose del mondo. Le tre principali caratteristiche di questa fase del loro sviluppo sono: la curiosità, la fantasia e le paure.
La curiosità
Se rispettiamo la curiosità dei bambini, ne favoriamo la gioia dell’apprendimento.
In questa fase della sua vita il bambino vuole conoscere tutto! Quando vede qualcosa di nuovo vuole sapere come si chiama, a cosa serve, come funziona, perché si muove in un certo modo ecc. A volte i genitori si stancano di rispondere a tutte queste domande, altre volte non ne conoscono neanche loro la risposta. Ma i bambini in età prescolare con tutte queste domande ci dimostrano che desiderano imparare e capire. I loro cervelli sono fatti per ricevere informazioni e acquisire punti di riferimento.
In questa fase, i genitori possono gettare solide basi per l’apprendimento dei propri figli rispondendo con gentilezza alle loro domande. Se rispettiamo la loro curiosità, allora potranno provare la gioia dell’apprendimento e questo sentimento li accompagnerà fino al momento in cui cominceranno ad andare a scuola. Se non conosciamo la risposta a una domanda possiamo comunque mostrare loro come trovare quell’informazione e incoraggiarli a farlo. I genitori che rispondono alle domande dei figli o che li aiutano a trovare le risposte stanno insegnando loro che:
- è normale non sapere tutto;
- le loro idee contano;
- ci sono tanti modi per trovare un’informazione;
- cercare risposte e risolvere problemi è divertente.
Quando i bambini apprendono queste cose diventano più sicuri di sé, più pazienti nella ricerca delle informazioni e più motivati all’apprendimento.
A volte però i bambini vogliono scoprire cose pericolose (accendere una candela, saltare da un albero, lanciare oggetti, …). Dato che non possiamo permettere ai bambini di fare cose pericolose, abbiamo l’occasione di insegnare loro cosa sono le regole. Se conoscono i motivi alla base di queste regole, allora sarà più probabile che le rispettino. I bambini in età prescolare vogliono conoscere il perché delle cose. Con questi “perché” i nostri figli non ci stanno sfidando, ma vogliono davvero conoscere le risposte alle loro domande.
Quando rispondiamo alle domande di nostro figlio gli insegniamo il rispetto di sé. Quando lo incoraggiamo a esplorare, ne motiviamo l’apprendimento. Quando gli diamo l’opportunità di risolvere un problema da solo gli dimostriamo che è capace di farlo. Un bambino che sa di essere in grado di risolvere un problema è meglio preparato ad affrontare le sfide future.
La fantasia e il gioco
In questa fase i bambini cominciano a utilizzare la loro fantasia. È un momento magico della loro vita. Fanno finta di essere tante cose diverse: animali, bambini più piccoli, adulti. Percepiscono queste fantasie come qualcosa di reale e da queste si lasciano trasportare.
Un bambino che gioca non sta perdendo tempo. Attraverso il gioco, infatti, impara valori importanti. Si immedesima negli altri e vede le cose con i loro occhi, sviluppando così una forte capacità empatica. Risolve problemi, inventa nuove cose, sperimenta, scopre come funzionano gli oggetti, sviluppando così il suo cervello e le sue capacità logiche.
Giocare e’ il lavoro del bambino in età prescolare. I bambini hanno assolutamente bisogno di giocare, perché giocare è essenziale per un corretto sviluppo. Man mano che la fantasia cresce i bambini diventano sempre più capaci di risolvere problemi in modo creativo. Quando smontano e poi rimontano gli oggetti riescono a comprenderne il funzionamento. Quando disegnano o cantano acquisiscono la sicurezza necessaria per esprimere la propria individualità attraverso l’arte. Quando hanno la possibilità di presentare delle argomentazioni imparano a risolvere meglio le situazioni conflittuali.
Le paure
Man mano che aumentano le conoscenze, la fantasia del bambino si libera sempre più: all’improvviso i bambini cominciano ad avere paura di cose che non temevano quando erano più piccoli. E a volte i genitori si preoccupano per questo. Ma le paure sono un segno che il bambino sta imparando a conoscere meglio il mondo. Se cominciano a capire il concetto di pericolo, allora temono di farsi male, e con la loro fantasia cominciano ad avere paura di mostri e fantasmi.
A questa età i bambini non hanno ancora una sufficiente esperienza per distinguere tra realtà e finzione. Credono che quello che immaginano, così come quello che vedono, esista davvero. E così possono improvvisamente avere paura di maschere, delle illustrazioni in un libro, dei personaggi di un cartone animato o di giocattoli dall’aspetto pauroso. Infatti hanno imparato che il pericolo esiste, ma ancora non sanno che alcune cose non sono reali.
I bambini in età prescolare si spaventano anche quando i genitori escono di casa, perché ancora non comprendono che i genitori ritorneranno. Possono essere molto spaventati quando rimangono soli o con persone che non conoscono bene. Diventano timidi di fronte agli estranei, perché ormai hanno imparato la differenza tra estraneo e persona conosciuta.
In questa fase i bambini hanno bisogno di molte rassicurazioni e di sostegno. Devono sentire che noi li capiamo, che rispettiamo i loro sentimenti e che siamo sempre pronti a proteggerli. Ancora non capiscono completamente i nostri sentimenti, stanno appena cominciando a conoscere i loro. In questa fase il compito principale dei genitori è quello di rispettare i sentimenti dei loro figli.
Nel momento in cui rispettiamo i loro sentimenti insegniamo ai nostri figli a rispettare anche quelli degli altri.
Rispettare i sentimenti dei bambini significa:
- aiutarli a esprimere a parole i propri sentimenti;
- dire loro che a volte anche voi provate la stessa emozione;
- non mortificarli o metterli in imbarazzo;
- non punirli perché hanno paura di qualcosa.
Pur nella sua sinteticità, questo excursus evidenzia chiaramente l’importanza del ruolo genitoriale nei primi anni di vita del bambino; al tempo stesso ci fornisce una serie di preziose indicazioni su come e quando cominciano a formarsi le strutture mentali necessarie alla costruzione del pensiero in generale e di quello scientifico in particolare.
In ognuno dei passaggi cruciali che abbiamo messo a fuoco e’ possibile scorgere le prime radici di quelli che saranno i futuri sviluppi cognitivi e affettivi del bambino. Sono radici che dobbiamo curare con grande attenzione, perché da esse dipenderà la “scientificità” dell’approccio conoscitivo che il bambino avrà con il mondo fisico.
La mentalità scientifica, infatti, non è costituita dalla sommatoria di tecniche e nozioni specialistiche, ma da atteggiamenti psicologici di fondo come la curiosità, la meraviglia, l’apertura al nuovo, la fiducia in se’ stessi e negli altri, la serenità, la perseveranza e il piacere della ricerca. Come abbiamo visto, sono proprio quegli atteggiamenti che si formano nella fase pre-scolare con il contributo determinante dei genitori e che dovranno consolidarsi e svilupparsi attraverso le attività scolastiche successive.