IMMAGINI FATTE DI LUCE. COME IL CAMMELLO NELLA CRUNA DELL’AGO
Abbiamo visto come l’idea di Lucrezio di una immagine-simulacro materiale che si stacca dalla superficie del corpo sia piuttosto ingenua e non regga ad una critica un po’ approfondita. Come potrebbe, infatti, un siffatto simulacro, avente le stesse dimensioni dell’oggetto da cui si distacca, riuscire a passare nel piccolo foro della camera oscura; come il cammello di evangelica memoria, non ha alcuna possibilità materiale di passare per la cruna di un ago.
Che cos’è, dunque, questa cosa che assomiglia così tanto al cammello, ma riesce ad entrare nella camera oscura passando attraverso quel forellino stretto come la cruna di un ago? Scartata l’idea che possa trattarsi di una emissione materiale diretta da parte del corpo, ci restano solo due direzioni nelle quali indagare.
La prima possibilità è quella di approfondire lo studio dell’occhio, per capire se ciò che chiamiamo “vista” non sia per caso una sorta di emanazione (fluido visivo, raggi visuali, …) che l’occhio proietta sull’oggetto permettendoci di percepirlo, come se fosse una specie di sottile prolungamento del tatto. Rimandiamo questa indagine al capitolo che riserviamo all’anatomia dell’occhio. Per il momento, stando al senso comune, l’occhio dell’osservatore sembra limitarsi ad un ruolo di “testimone passivo” e come tutti i testimoni “oculari”ci da la certezza di assistere ai fatti così come essi si sono realmente svolti.
La seconda possibilità che abbiamo è quella di studiare a fondo il ruolo svolto dalla luce, che illumina l’oggetto e crea le condizioni per la sua visibilità.
Proviamo a chiederci, insomma, se ciò che era impossibile per le immagini materiali di Lucrezio, non diventi possibile per qualcosa di immateriale, sottile e impalpabile come la luce. In altre parole: se il cammello non può entrare nella cruna dell’ago, ce la può fare la luce che viene diffusa dal cammello?
IMMAGINI IMMATERIALI FATTE DI LUCE?
A pensarci bene, non dovrebbe sorprenderci più di tanto questa idea di senso comune, che ci porta a pensare che l’immagine esista già di per sé, come una copia dell’oggetto, indipendente sia dalla luce, sia dall’osservatore.
L’immagine assomiglia talmente all’oggetto che ci viene del tutto naturale attribuire questa somiglianza ad un rapporto strettissimo con l’oggetto. Solo un contatto intimo come quello che si ha nello stampo, sembra in grado di trasferire all’immagine tutti i dettagli formali e cromatici dell’oggetto.
In quanto alla luce, essa ci appare come una condizione necessaria perché l’osservatore possa vedere, ma non sembra avere quelle caratteristiche di ordine e precisione necessarie per riprodurre gli oggetti in modo così preciso. Per dirla con Lucrezio, essa assomiglia più allo spazzino che spazza via il buio dallo spazio, che non al pittore che riproduce esattamente le forme e i colori degli oggetti.
DAL CAOS LUMINOSO PUO’ NASCE L’ORDINE DELL’IMMAGINE?
Anche quando la luce ci appare sotto una forma geometrica più regolare, come quella dei fasci o dei raggi, l’intrico dei raggi emessi dalle sorgenti in tutte le direzioni con quelli riflessi dagli oggetti (anch’essi in tutte le direzioni), è talmente caotico da scoraggiare ogni tentativo di pensare che da quel caos possa nascere una forma così ordinata come l’immagine. E’ sufficiente disegnare solo alcuni degli infiniti raggi emessi dalla sorgente e riflessi da pochi punti dell’oggetto, per rendersi conto di questo.
LA SOLUZIONE STA PROPRIO NELLA CRUNA DELL’AGO
Paradossalmente ad offrire la soluzione del problema sarà proprio la cruna dell’ago, proprio nell’elemento, cioè, che sembra costituire l’ostacolo principale. Vedremo nel paragrafo seguente come questo possa avvenire. >>