NOI VEDIAMO CON IL CERVELLO
Oggi sappiamo che la visione è il risultato di un processo neuro-psicologico molto complesso e non ancora del tutto chiarito. Quello che appare certo, comunque, è che il cervello elabora gli stimoli luminosi provenienti dagli occhi creando una immagine mentale dell’oggetto, che viene “riproiettata” sull’oggetto medesimo.
Se oggi ci appare chiaro che l’occhio non proietta alcunché di “reale” al di fuori di esso, è altrettanto chiaro che è il cervello ad effettuare una proiezione “virtuale” dell’immagine mentale creata al suo interno.
E’ questa proiezione che ci permette (quasi sempre) di afferrare o toccare gli oggetti, dirigendo la mano nel punto esatto in cui li vediamo.
Si tratta di una esperienza talmente ripetuta e confermata nella vita quotidiana, da creare in noi la convinzione di “vedere le cose in sé “ e non le loro immagini.
Il primo passaggio necessario per comprendere il meccanismo della visione è quello di chiarire che un oggetto luminoso ( o illuminato ) può essere visto solo quando la luce proveniente da esso colpisce il nostro occhio ( più precisamente le cellule foto-recettrici della nostra retina ).
Ciò che noi vediamo è un insieme di punti luminosi determinati dall’impatto della luce con la superficie della retina. L’occhio riesce a percepire l’intensità e la direzione di questo impatto finale, ma non può ricostruire la traiettoria percorsa dalla luce a partire dalla sorgente.
L’occhio vede un punto luminoso in una certa direzione, ma non può essere sicuro che in quella stessa direzione si trovi anche l’oggetto da cui la luce è partita .
OGGETTI IN-AFFERRABILI
Un’esperienza divertente, ma per certi versi inquietante, può essere proposta a questo punto per mettere in crisi una convinzione molto radicata nel nostro senso comune. Quante volte sentiamo ripetere frasi del tipo: “ io credo solo a quello che vedo con i miei occhi e a quello che tocco con mano “ ? In genere sono persone che vorrebbero contrapporre un loro presunto senso di pratica concretezza ad argomentazioni troppo sofisticate e complesse.
Per effettuare l’esperienza si può ricorrere ad un gioco scientifico che si trova in commercio ( noi l’abbiamo acquistato al Museo della Scienza di Napoli ).
Consiste in un uno specchio concavo a forma di ciotola, al centro del quale si appoggia un piccolo oggetto ( moneta, fragola … un porcellino di plastica). Un altro specchio concavo con un foro centrale viene messo sulla ciotola, a mo’ di coperchio. A questo punto in corrispondenza del foro superiore apparirà una immagine dell’oggetto posto sul fondo, con una nitidezza tale da poter invitare l’osservatore ad afferrarla, come se si trattasse di un oggetto reale.
L’esperienza è veramente efficace e divertente, anche se in alcuni casi la reazione è stata di vero e proprio spavento.
L’osservatore rimane sorpreso nel sentire che le dita stringono soltanto aria ed, incredulo, tende a ripetere almeno un paio di volte il tentativo andato a vuoto.
Fatte le debite proporzioni è la stessa esperienza toccata ad Ulisse, Enea e Dante, ammessi da vivi a visitare il regno dell’oltretomba.
Ulisse, disceso negli inferi incontra la madre Anticlea, morta di dolore per la sua lontananza.
Io, pensando tra me, l’estinta madre .
Volea stringermi al sen: tre volte corsi,
Quale il mio cor mi sospingea, ver lei,
E tre volte m’usci fuor delle braccia,
Come nebbia sottile, o lieve sogno.
(Odissea, canto XI, 265- 269 , traduzione Ippolito Pindemonte)
Enea giunto ai Campi Elisi tenta di abbracciare il padre Anchise :
e tre volte abbracciandolo, altrettante
come vento stringesse o fumo o sogno
se ne tornò con le man vòte al petto.( Eneide, canto VI, 1045 – 1048, traduzione Annibal Caro )
Dante, giunto al Purgatorio, tenta di abbracciare l’amico Casella:
Io vidi una di lor trarresi avante
per abbracciarmi, con sì grande affetto,
che mosse me a far lo somigliante.
Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto!
Tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
e tante mi tornai con esse al petto.( Purgatorio, canto II, 76 -81 )
Non è necessario, in questa fase, addentrarsi nella spiegazione fisica dell’illusione ottica; può essere sufficiente mostrare che la ciotola è formata da specchi e rimandare la spiegazione ad un successivo studio del funzionamento degli specchi.
Basterà per il momento aver messo in crisi la sicurezza di poter sempre trovare un oggetto materiale là dove vediamo una immagine luminosa, chiarendo nel contempo che l’immagine è una rielaborazione e ri-proiezione che il cervello opera a partire dagli stimoli luminosi che riceve.
Quello che gli antichi filosofi e il linguaggio comune attribuiscono ad una capacità proiettiva dell’occhio ( raggi visuali, sguardi penetranti e colpi d’occhio) avviene, in realtà, nel nostro cervello, e solo una incessante pratica quotidiana della visione diretta degli oggetti, stabilisce una corrispondenza pratica tra ciò che vediamo e ciò che afferriamo.
La spiegazione di quello che avviene al di là della retina, dove l’impulso luminoso viene trasformato in impulso bioelettrico e raggiunge la corteccia visiva del cervello attraverso i nervi ottici, va ben oltre il traguardo che ci siamo prefissi. Ci accontentiamo, per il momento, di aver chiarito il percorso che la luce compie per produrre sulla retina le immagini degli oggetti che la riflettono.