Probabilmente è stato lo specchio, ben prima della camera oscura, e insieme all’esperienza dell’ombra, a proporci la prima vera esperienza di sdoppiamento tra gli oggetti e le loro immagini e la prima separazione tra il mondo delle cose che chiamiamo reale e il mondo delle immagini che chiamiamo virtuale.
Fin dai tempi più antichi lo specchio e le immagini da esso prodotte sono state oggetto di stupore e di meditazione, donde le leggende attorno alle sue capacità magiche e alla sua forza di attrazione, tra cui la notissima storia di Narciso. La conoscenza di se stessi è alla base della sapienza; i filosofi hanno spesso raccomandato ai propri discepoli di contemplare il proprio volto nello specchio. Socrate e Seneca lo consigliavano ai giovani affinché, se erano brutti, potessero compensare i difetti del corpo con le qualità morali e, se erano belli, conservare la loro bellezza guardandosi dal la degradazione del vizio.
Lucrezio ha attribuito ad emanazioni fisiche questo misterioso sdoppiamento ai “simulacri” che si staccano dalla superficie degli oggetti e vagano nell’atmosfera diventando visibili quando urtano una superficie liscia e lucente come quella di uno specchio.
Ed esso ( il simulacro ) se cozza negli altri corpi, anzitutto nel vetro, passa al di là, ma se si incontra nei solidi ciottoli o in una sostanza legnosa, lì si frantuma, sì che non può rimandare nessuna immagine. Invece quando si trovan di fronte corpi lucenti e compatti, in primo luogo gli specchi, nulla di ciò si verifica, perché né posson passare come nel vetro, né rompersi, ed è la levigatezza quella che pensa a salvarle: per la qual cosa è di lì che a noi rimbalzan le immagini.
( De rerum natura, libro IV, 144 – 152 )
Secondo gli Egizi il “doppio” che nasce con l’uomo e lo segue, non è altro che la sua anima, la sua ombra, il suo riflesso, di cui bisogna temere la perdita. In Occidente il tema del doppio viene costantemente ripreso dalla letteratura romantica: Chamisso ( La meravigliosa storia di Peter Schlemil ), Hoffmann ( Racconti fantastici ), Andersen ( L’ombra ), Bayron ( Il ritratto di Dorian Gray ). Nel folklore di vari paesi europei diversi divieti ed usanze sono dettati dalla medesima credenza del “doppio”: non guardarsi di notte nello specchio, perché il doppio non rischi di perdersi nel buio; velare gli specchi nella stanza del morto, perché l’anima non ritorni indietro; la rottura dello specchio che porta sette anni di disgrazie, a causa della frantumazione dell’immagine-anima; ecc. Per tutte queste ragioni e per la rigorosa simmetria che produce tra la realtà e la sua illusione lo specchio ha rappresentato un oggetto particolarmente suggestivo per gli artisti.
LO SPECCHIO COME FINESTRA TRA MONDO REALE E VIRTUALE
Anche lo specchio può essere considerato come una finestra aperta sul mondo, con l’unica differenza che il mondo non è quello reale, ma quello riflesso.
L’estensione della metafora è autorizzata dal suo stesso autore, Leon Battista Alberti, che nel De Pictura introduce l’uso dello specchio come ausilio per la corretta esecuzione della pittura.
E saratti a ciò conoscere buono giudice lo specchio, né so come le cose ben dipinte molto abbino nello specchio grazia: cosa maravigliosa come ogni vizio della pittura si manifesti diforme nello specchio. Adunque le cose prese dalla natura si emendino con lo specchio.
Analogo concetto era stato espresso da Leonardo nel suo Trattato della pittura nel quale instaura la similitudine tra l’immagine dipinta e lo specchio che assurge al ruolo di vero e proprio “maestro”.
Quando tu vuoi vedere se la tua pittura tutta insieme ha conformità con la cosa ritratta di naturale, abbi uno specchio, e favvi dentro specchiare la cosa viva, e paragona la cosa specchiata con la tua pittura, e considera bene se il subietto dell’una e dell’altra similitudine abbiano conformità insieme. Soprattutto lo specchio si deve pigliare per maestro, intendo lo specchio piano imperocché sulla sua superficie le cose hanno similitudine con la pittura in molte parti.
Fu, infine, Filippo Brunelleschi, ad utilizzare lo specchio come strumento per la realizzazione della sua prospettiva lineare con punto di vista unificato. Nei primi anni della sua attività Brunelleschi dipinse due tavolette in cui applica questo metodo. Le due tavolette, oggi perdute ma menzionate da più fonti biografe, rappresentano una veduta di Piazza della Signoria con Palazzo Vecchio e la Loggia, ed una veduta del Battistero attraverso la porta centrale del Duomo. Le fonti dicono che l’architetto avesse praticato un foro nella seconda tavoletta, di dimensioni ridotte sul davanti rispetto al dietro. Lo scopo di quest’apertura sta nel poter porre l’occhio dietro alla tavoletta e vedere, mediante uno specchio posto di fronte, la riflessione dell’immagine in essa rappresentata. In questo modo, Brunelleschi mette in pratica la visione della sua prospettiva unica e monoculare. L’uso dello specchio gli serve per dimostrare la precisione e la matematicità della sua scoperta prospettica.
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