ABBANDONO DELLO SPIRITO KEPLERIANO : LE IMMAGINI “INTENTIONALES”
Occorre a questo punto rilevare come la distinzione delle immagini in reali e virtuali non sia quella introdotta da Keplero nella sua dimostrazione originaria, da lui stesso definita la “vera demontratio“
E’ importante riportare quanto Vasco Ronchi dice a questo proposito nella sua Storia della luce.
Si tratta di un passaggio fondamentale che merita di essere considerato con una particolare attenzione, perché gli sviluppi successivi del nostro discorso ci mostreranno come l’allontanamento dallo spirito originario della dimostrazione possa essere all’origine delle perplessità che nasceranno sulla definizione di immagine reale e virtuale
Dice Ronchi ( pag. 129 ):
“ Keplero afferma che l’immagine vista dietro lo specchio non vi si trova realmente, perché è una figura intentionalis , cioè soggettiva, creata dall’osservatore in base agli stimoli ricevuti sulla retina dei suoi occhi, e in base a un calcolo che la psiche stessa dell’osservatore fa …
Oggi in tutti i testi di ottica si ripete lo studio dei raggi riflessi dallo specchio e dei loro angoli; si determinano i vertici dei coni di raggi riflessi, verso gli occhi dell’osservatore, e si conclude, come se fosse evidentissimo, che l’immagine è formata da quei vertici, e perciò l’osservatore la vede dove è.
E’ un discorso in gran parte falso, almeno troncato e incompleto, perché non si vuole ripetere la “ vera demontratio“ data da Keplero. Perché l’ottica di oggi non vuole parlare di immagini intentionales . E’ una questione di filosofia. L’ottica di oggi è positivista, e non vuole considerare niente di soggettivo. Anche se ciò deve presentare come completi ed esaurienti dei discorsi troncati e inconcludenti. “
Dunque, il termine virtuale riferito all’immagine che appare dietro lo specchio è stato introdotto successivamente, sostituendo con esso il termine intentionale scelto originariamente da Keplero.
Allo stesso modo le immagini raccolte su uno schermo o sulle pareti di una camera oscura, che Keplero definisce col termine Picturae, saranno successivamente denominate immagini reali.
Sarebbe molto interessante ricostruire il momento e le ragioni di questa sostituzione; abbiamo buoni motivi per pensare che inizi proprio con questa scelta terminologica l’allontanamento dallo spirito originario della dimostrazione, con una graduale rimozione della dimensione psicologica e soggettiva di cui parla Ronchi, a favore di una dimensione puramente geometrica ritenuta più oggettiva.
Abbiamo recentemente trovato una indicazione importante nell’Abstract di un articolo di Alan E. Shapiro, Images: Real and Virtual, Projected and Perceived, from Kepler to Dechales , pubblicato su Hearly Science and Medicine ( Volume 13, Numero 3, 2008, pp. 270-312).
Nello sviluppo di una nuova teoria della visione in “Ad Vitellionem paralipomena “ (1604) Keplero ha introdotto un nuovo concetto di ottica, Pictura, che è l’immagine proiettata su uno schermo da una camera oscura. Egli distingue questa pictura dalla Imago, l’immagine tradizionale dell’ottica medievale che esiste solo nella immaginazione.
Con il 1670 è stata sviluppata una nuova teoria di immagini ottiche, e pictura e imago di Keplero divennero immagini reali e virtuali, due aspetti di un unico concetto di immagine. …
… La distinzione tra immagini reali e immaginarie è stata ampiamente sviluppata da Gilles Personne de Roberval e i gesuiti Francesco Eschinardi e Claude François Dechales Milliet.
Si tratta di indicazioni importanti che consentono di inquadrare meglio il periodo storico e il contesto culturale nei quali è maturata l’innovazione terminologica che ha portato alla sostituzione dei termini kepleriani con quelli tuttora in uso.
Due degli autori citati da Shapiro, Eschinardi e Dechales, ci offrono una chiara testimonianza di come lo studio della luce sia stato racchiuso nell’ambito di una trattazione puramente geometrica, sterilizzata dalla imbarazzante dimensione psicologica adombrata da Keplero, ed ancora incapace di offrire una spiegazione fisica attendibile tanto della propagazione della luce, quanto della sua colorazione; si pensi, a tale proposito che il dibattito sulla natura della luce si attardava ancora su vecchi schemi filosofici secondo i quali si riteneva necessario stabilire preliminarmente se la luce doveva considerarsi una sostanza o un accidente.
In un contesto culturale che vedeva ancora prevalere il matematismo meccanicistico affermatosi nella prima metà del seicento, era fatale che l’ottica divenisse parte integrante della scienza matematica.
L’opera fondamentale di Dechales Milliet (1621-1678) , Mathematicus cursus seu mundus, è, infatti, un corso completo di matematica, che contiene molti argomenti collegati, che ai suoi tempi erano venuti a far parte delle scienze esatte. Tra i numerosi soggetti inclusi nel Cursus si trovano anche l’ottica, la catottrica e la diottrica.
E’ nel Tractatus dioptricus de generalibus refractionis principiis che Dechales parla esplicitamente di immagini virtuali collegandole esplicitamente alla divergenza dei raggi ; nel Corollario V (pag. 47) si legge, infatti:
COROLLARIUM V. In specillis concavis est imago tantum virtualis, hoc est radii ab eadem parte objecti procedentes non uniuntur, sed divergunt; quasi ab eodem puncto procederent; ideo objectum ita agit post lentem, ac si tranferretur in ipsum focum virtualem.
Nel corollario successivo, invece, parla semplicemente di imaginem per riferirsi all’immagine formata da raggi convergenti:
COROLLARIUM VI. Si radii ab eadem parte objecti procedentes convergant, quasi formaturi aliquam imaginem & ita convergentes in specillum concavum incidant, aliam formabunt imaginem.
Dechales, come si vede, non parla ancora di immagine reale, e si limita al termine imaginem, ma usa quello di immagine virtuale ed introduce ( come nei manuali odierni) il criterio geometrico della convergenza o divergenza per distinguere i due tipi di immagine.
Il termine di immagine reale compare, invece, nelle Centuriae opticae, pars altera, seu Dialogi optici di Frascesco Eschinardi, pubblicate nel 1668.
Alle pagine 1 e 2 l’autore riporta le definizioni dei termini dell’ottica “geometrica” negli stessi termini che ritroviamo sostanzialmente nei nostri manuali. In particolare ci interessano :
– definizione 15 : Radij visuales idem ac lineae visuales.
In questa definizione il termine visuale viene associato (e forse assorbito) nell’elemento fisico del raggio e geometrico della linea, sottraendolo alla dimensione psicologica-soggettiva della visione.
– definizione 16 : Divergere, est, quod due, vel plures lineae ab al quo puncto, in quo faciunt angulum, producantur ulterius semper in maiori & maiori distantia inter se.
In questa definizione si introduce la divergenza geometrica che sarà successivamente associata alla virtualità delle immagini.
- definizione 17: Convergere, est, quod due, vel plures lineae, tendant ad faciendum angulum. E’ la convergenza geometrica che sarà associata alle immagini reali.
- definizione 18: Focus in praesenti materia intelligitur, quicu q. duarum, vel plurium linearum concursus, sine intersectio, seu angulus. E’ la definizione del fuoco come punto in cui concorrono due o più raggi paralleli ( sine intersectio, seu angulus).
- definizione 19: Focus, alius verus, & realis; alius fictus, & imaginarius: Primus est verus, & realis concursus, seu Angulus; in quo verè, & realiter intersecantur, sive concurrunt lineae visuales: secundus est, in quo non vere intersecantur, seu concurrunt, seu faciunt angulum; sed facerent, si versus illam partem conciperentur ulterius produci dictae lineae rectae.
E’ l’associazione esplicita della convergenza al fuoco reale e della divergenza al fuoco immaginario ; da notare, inoltre, l’associazione di verus ( vero ) con realis ( reale ) e, contemporaneamente di imaginarius e fictus ( finto, falso, illusorio) ; l’autore non fa ancora uso del termine virtuale, ma sembra attribuire a questo tipo di immagini le stesse caratteristiche di illusorietà, falsità e irrealtà, che l’opinione corrente attribuisce oggi al termine “virtuale”.
Nella SECTIO III (Pag. 21) Eschinardi definisce l’Imago Obiecti( l’immagine reale ) o Basi distincta, come l’insieme dei punti nei quali concorrono i raggi provenienti dai corrispondenti punti dell’oggetto. Descrive in sostanza il procedimento che consiste nella scomposizione dell’oggetto in tanti punti ( punti obiectivis ), da ognuno dei quali si fa partire un fascio di raggi, che il sistema ottico ( in questo caso una lente) fa convergere su uno schermo posto ad opportuna distanza, determinando su di esso il punto-immagine del punto-oggetto dal quale i raggi provengono ( vedi fig. sottostante, tratta dall’Ottica di Newton).
“ Nomine Basis distinctae intelligo hic totum illud, quod constituitur ex singulis punctis, in quibus concurrunt lineae visuales emissae a singulis punctis obiectivis; sicut enim in obiecti superficie sunt plura veluti puncta visibilia colorata; ita pariter in Basi distincta cum eodem ordine, licet inverso, sunt veluti totidem puncta cum ijsdem coloribus, & eadem symetria; ut clare patet, si excipiatur huiusmodi basis distinctae, seu Imago Obiecti in carta, posita in debita distantia a lente.
In maniera analoga vengono introdotti i termini di Basi ficta e Imagine ficta, & imaginaria che corrispondono all’immagine virtuale e sono legati alla divergenza dei raggi ( come nel fuoco ficto) :
Quod pariter intellige de Basi, seu Imagine ficta, & imaginaria: Nomine basis fictae, & imaginariae intelligo illud totum, quod resultat ex concursibus, seu focis fictis, & imaginarijs; sicut enim diximus fieri unum totum reale, etia visibile in carta, v. gr. ex concursibus fi, & focis realibus; ita fit suo modo basis ficta, & imaginaria ex concursibus ficti, & imaginarijs, tum hic; tum multo magis in Cent. Opt. explicamus.
E’ evidente nei due autori che abbiamo citato che la realtà o virtualità dell’immagine è ormai ridotta ad una pura convergenza geometrica ( reale o immaginaria ) dei raggi, e che la dimensione psicologica della visione è già stata completamente rimossa ( siamo nel 1668 ).