L’OTTICA DI NEWTON
Con le Lezioni di Ottica ( 1669-1671 ) e L’Ottica ( 1704 ) di Newton lo studio della luce varca i confini dell’ottica geometrica ed entra nel terreno dell’ottica fisica.
All’interno di una rigorosa trattazione geometrico-matematica articolata per definizioni, assiomi, proposizioni e teoremi, sono riportati tutte le prove e gli esperimenti che supportano le affermazioni teoriche.
I colori, in particolare, vengono ricondotti ad una dimensione quantitativa attraverso la misura del loro diverso indice di rifrazione; riguardo alla natura fisica della luce Newton avanza, come è noto, la sua celebre teoria corpuscolare.
Ai fini della nostra riflessione sulle immagini, ciò che vale la pena di notare è che Newton non adotta la terminologia delle immagini reali e virtuali, che, come abbiamo appena visto, era già stata introdotta dai suoi predecessori, e che è tuttora riportata nei nostri manuali.
Nell’Assioma VII Newton si limita a riproporre la costruzione dell’immagine per punti introdotta da Keplero e ripresa dai suoi successori ( vedi Eschinardi pag. 75b ):
In qualunque luogo i raggi che provengono da tutti i punti di un oggetto qualsiasi si incontrano di nuovo in altrettanti punti dopo che sono stati fatti convergere per riflessione o per rifrazione, in quel luogo produrranno un’immagine dell’oggetto sopra un qualsiasi corpo bianco su quale cadono.
Newton non sente alcun bisogno di specificare ulteriormente l’immagine proiettata sullo schermo come “reale” o come “vera”: è immagine del corpo, e tanto basta.
Ma non avverte il bisogno di specificazioni nemmeno per le altre immagini, quelle percepite direttamente dall’occhio, che propagandosi al cervello danno origine alla visione:
In modo analogo, quando un uomo guarda un oggetto qualsiasi PQR (nella fig. 8) la luce che proviene dai diversi punti dell’oggetto è rifratta dalla tunica e dagli umori trasparenti dell’occhio … in modo da convergere e da incontrarsi di nuovo in altrettanti punti nel fondo dell’occhio, e là tracciare l’immagine dell’oggetto su quella tunica ( denominata tunica retina) dalla quale il fondo dell’occhio è ricoperto.
… E queste immagini propagate nel cervello dal moto lungo le fibre, sono la causa della visione.
Nessun interrogativo Newton si pone su che cosa sia la visione causata nel cervello dalla propagazione di quelle immagini; è come se il processo di formazione delle immagini si arrestasse sulla retina e non dovesse essere completato dal cervello; è come se l’immagine non fosse semplicemente “ciò che si vede” ( la visione, appunto).
Newton, che pure era impegnato a varcare i limiti dell’ottica geometrica per entrare nel terreno di quella fisica, si arresta sulla soglia dell’ottica psicologica. Certo, il problema era irrisolvibile, date le conoscenze del tempo sul funzionamento del cervello, ma Newton non fa cenno a questa difficoltà, semplicemente passa oltre.
Ben diverso era stato l’atteggiamento di Keplero che, con modestia, lasciò ad altri il compito di chiarire cosa avvenga oltre là della retina.
«Il bagaglio di conoscenze degli ottici (opticorum armatura) non può andar oltre la prima superficie opaca che si incontra nell’occhio …
… Lascio ai filosofi naturali il compito di discutere in che modo tale pictura venga costruita dai principi spirituali della visione che risiedono nella retina e nei nervi, e se sia fatta comparire davanti all’anima o al tribunale della facoltà visiva da uno spirito interno alle cavità cerebrali, o sia invece la facoltà visiva a uscire, come un magistrato inviato dall’anima, dalla camera di consiglio del cervello, per incontrare quest’immagine nei nervi ottici e nella retina, discendendo per così dire in una corte di rango inferiore >>.
Keplero mostra di avere ben compreso di essere giunto al confine tra l’ottica fisica e l’ottica fisio-psicologica, oltrepassato il quale le leggi che presiedono alla formazione dell’immagine sono totalmente differenti. Questa consapevolezza sembra essersi attenuata nelle successive elaborazioni riguardo alle immagini.
Nemmeno le immagini formate da raggi divergenti, trattate nell’Assioma VIII, inducono Newton ad approfondire la natura di quelle immagini, che pure si presentano come “virtuali” e “illusorie”.
Un oggetto visto per riflessione o rifrazione appare in quel luogo dal quale i raggi, dopo l’ultima riflessione o rifrazione di essi, divergono nel cadere sull’occhio dell’osservatore.
… Questi raggi, infatti, tracciano la medesima immagine sul fondo degli occhi come se essi provenissero da un oggetto realmente situato in quel luogo ( a in Fig. 9 , e q in Fig. 10 ); e l’intera visione si effettua in accordo col luogo e con la forma di quell’immagine.
Con questa ultima frase, probabilmente, Newton ci rivela le ragioni della sua rinuncia ad indagare oltre nel processo della visione: l’intera visione si effettua in accordo col luogo e con la forma di quell’immagine .
In altre parole: la visione coincide con l’immagine retinica!
Oggi sappiamo che così non è e che l’immagine elaborata dal cervello aggiunge molteplici elementi che non sono presenti nell’immagine retinica ( si pensi, ad esempio, alla vasta gamma delle illusioni ottiche ).
Ciò che ci interessa, però, è cercare di individuare i passaggi concettuali che hanno portato a determinare una situazione di potenziale ambiguità riguardo al concetto stesso di immagine.
In questo senso ci sembra che Newton abbia dato un doppio contributo alla riconduzione dell’immagine in un ambito puramente fisico e geometrico. In primo luogo con la sua affermazione di un accordo tra visione e immagine retinica egli rende superfluo approfondire la dimensione psichica della visione. In secondo luogo, rinunciando ad adottare le categorie di reale e virtuale, evita di riaprire la questione sulla psichicità delle immagini, insita nel concetto di virtuale.
Queste possono essere le ragioni per le quali Newton, a differenza dei suoi predecessori ( e successori ) si limita a parlare semplicemente di immagini, senza ulteriori specificazioni.