Le tragedie greche e i resti dei teatri in cui esse sono state rappresentate testimoniano come fin dall’antichità al teatro sia stata attribuita una importante funzione educativa.
Ai fini del nostro discorso abbiamo immaginato di attribuire agli antichi greci, e precisamente a Platone, anche l’invenzione del primo teatro d’ombre a scopi filosofici e pedagogici.
Il mito della caverna, che Platone narra nel Settimo libro della Repubblica, si configura, infatti, come una vera e propria messa in scena di un problema filosofico riguardante il valore della conoscenza.
Platone immagina che Socrate si rivolga al suo interlocutore, Glaucone.
“ In séguito, continuai, paragona la nostra natura, per ciò che riguarda educazione e mancanza di educazione, a un’immagine come questa. Dentro una dimora sotterranea a forma di caverna, con l’entrata aperta alla luce e ampia quanto tutta la larghezza della caverna, pensa di vedere degli uomini che vi stiano dentro fin da fanciulli, incatenati gambe e collo, sí da dover restare fermi e da poter vedere soltanto in avanti, incapaci, a causa della catena, di volgere attorno il capo.
Alta e lontana brilli alle loro spalle la luce d’un fuoco e tra il fuoco e i prigionieri corra rialzata una strada. Lungo questa pensa di vedere costruito un muricciolo, come quegli schermi che i burattinai pongono davanti alle persone per mostrare al di sopra di essi i burattini. …
Immagina di vedere uomini che portano lungo il muricciolo oggetti di ogni sorta sporgenti dal margine, e statue e altre figure di pietra e di legno, in qualunque modo lavorate; e, come è naturale, alcuni portatori parlano, altri tacciono.
– Strana immagine è la tua, disse, e strani sono quei prigionieri.
– Somigliano a noi, risposi; credi che tali persone possano vedere, anzitutto di sé e dei compagni, altro se non le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna che sta loro di fronte?
– E come possono, replicò, se sono costretti a tenere immobile il capo per tutta la vita?
– E per gli oggetti trasportati non è lo stesso? – Sicuramente.
– Se quei prigionieri potessero conversare tra loro, non credi che penserebbero di chiamare oggetti reali le loro visioni? – Per forza.
– E se la prigione avesse pure un’eco dalla parete di fronte?
Ogni volta che uno dei passanti facesse sentire la sua voce, credi che la giudicherebbero diversa da quella dell’ombra che passa?
Io no, per Zeus! rispose.
– Per tali persone insomma, feci io, la verità non può essere altro che le ombre degli oggetti artificiali. – Per forza, ammise.
(Platone, Opere, vol. II, Laterza, Bari, 1967, Repubblica, 514 a -515 c)
Tra le diverse ricostruzioni della caverna di Platone proponiamo quella che ci sembra più efficace. Questo tipo di messa in scena, oltretutto, è stranamente coerente con la cronologia della Genesi nella quale le sorgenti di luce naturale e gli oggetti vengono creati in momenti successivi rispetto alla luce primordiale.
Dal punto di vista didattico questo equivale a concentrare l’attenzione sulle caratteristiche delle ombre e sulla loro definizione, rimandando ad un momento successivo l’apparizione delle sorgenti e degli oggetti.
E’ il caso di segnalare che in tutte le trattazioni dell’ottica il punto di partenza obbligato sembra essere, invece, quello delle sorgenti.
Una situazione equivalente alla caverna di Platone, ma per fortuna molto meno cruenta, può essere riprodotta mediante uno schermo traslucido ( o un lenzuolo ) che permetta agli “ allievi-prigionieri” di osservare le ombre, senza, tuttavia, poter vedere gli oggetti e delle sorgenti che le producono. E’, in sostanza, la disposizione adottata nel teatro delle ombre. Avevamo programmato, in collaborazione con il Gruppo Teatrale “ La balena dispettosa”, di trasformare questo esperimento in un vero e proprio spettacolo teatrale, ma la mancanza di finanziamenti e di tempo non ce lo hanno ancora permesso.
Proponiamo in sostituzione questo bel video del Gruppo Teatrale Philobolus shadows dance
E’ evidente che i nostri allievi faranno fatica a calarsi totalmente nei panni dei prigionieri di Platone. Essi non potranno prescindere, infatti, dall’essere essere vissuti fin dalla nascita in un mondo tri-dimensionale, nel quale hanno sperimentato la consistenza, l’estensione spaziale, il peso, le forme ed il colore dei corpi materiali.
Sarà istintivo per loro cercare di “indovinare” gli oggetti posti dietro lo schermo e , in misura minore, le sorgenti che producono le ombre.
Questo gioco è, in realtà, un esercizio di ricostruzione prospettica di oggetti tridimensionali a partire dalle loro proiezioni bidimensionali. Quando alzeremo il sipario dello schermo non mancheranno le sorprese rispetto alle ipotesi formulate e ciò risulterà ben più stimolante di una presentazione esplicita ed immediata di tutti gli attori della proiezione.