Il cammino da percorrere

IL CAMMINO DA PERCORRERE

La “catena della visione” , così come è stata chiarita al termine di un lungo e difficile percorso concettuale, può essere provvisoriamente riassunto nel modo seguente:

  1. Le sorgenti luminose emettono luce che si propaga in linea retta  nelle diverse direzioni dello spazio ( raggi luminosi).
  2. La luce che colpisce un oggetto opaco, viene riflessa dalla sua superficie di esso; se la superficie è ruvida e irregolare ogni punto rifletterà la luce in una diversa direzione (riflessione diffusa); se la superficie è liscia e piana, come negli specchi, i raggi saranno riflessi tutti nella stessa direzione ( riflessione speculare).
  3. Se la luce colpisce un corpo trasparente lo attraversa, ma cambia direzione ( rifrazione ).
  4. Quando un raggio di luce riflesso o rifratto dal corpo entra nell’occhio dell’osservatore attraverso la pupilla e colpisce la retina, il cervello percepisce un punto luminoso come immagine del punto dell’oggetto dal quale la luce proviene.

A dispetto della loro apparente semplicità, ciascuno di questi punti  presenta notevoli difficoltà concettuali. Non è un caso che la  prima spiegazione completa  della formazione delle immagini ottiche sia stata formulata soltanto nei primi anni del ‘600 con la pubblicazione dei Paralipomena ad Vitellionem  di Keplero.

La catena visiva si articola su tre elementi ugualmente essenziali : la sorgente di luce, l’oggetto illuminato e l’occhio dell’osservatore.

Ad essi, tuttavia, è stata attribuita una diversa rilevanza nel corso dell’evoluzione delle teorie dell’ottica. Soprattutto non è stato sempre evidente che il collegamento tra sorgente, oggetto ed osservatore fosse da attribuire ad un elemento fisico esterno (la luce).

Nel pensiero spontaneo e nel linguaggio comune, così come nelle antiche teorie ottiche, l’immagine, ad esempio,  diventa una prerogativa quasi esclusiva  dell’oggetto: è l’oggetto, e non la luce, che proietta le  ombre e le  immagini.

Il compito della sorgente sembra limitarsi alla creazione di una generica condizione di “visibilità”, che permette all’occhio di esercitare una altrettanto generica funzione di “vedere”.

L’occhio non partecipa attivamente alla formazione dell’immagine, ma sembra, piuttosto, un testimone passivo e , persino, non necessario, di una immagine pre-esistente.

Chiarito, almeno provvisoriamente, quello che dovrà essere il punto di arrivo, sarà opportuno farci una idea più precisa del livello di partenza, quello dal quale muovono i primi passi i nostri allievi più piccoli, portatori ingenui ed eccellenti delle concezioni del senso comune.

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