EMISSIONE DELL’OCCHIO O RICEZIONE PASSIVA?
Con l’esperienza dei fasci di polvere ci addentriamo in un campo di indagine molto interessante, che riguarda i modelli concettuali operanti nella mente dei nostri allievi in merito al meccanismo della visione.
Nel condurre il nostro dialogo sarà opportuno tener presente che due modelli alternativi si sono confrontati fin dall’antichità riguardo alla visione: un modello di tipo emissivo e uno di tipo ricettivo. Come spesso accade questa dialettica storica finisce per rivivere nelle discussioni con gli allievi.
IL MODELLO “EMISSIVO”: L’occhio emette una propria capacità visiva
Nel modello di tipo emissivo, sostenuto dalla scuola pitagorica, si ritiene che l’occhio emetta una qualche “potenza visiva”capace di raggiungere l’oggetto illuminato e di riportare all’osservatore una sensazione visiva.
Il linguaggio comune è pieno di termini e modi di dire radicati in questo modello concettuale. Quante volte usiamo espressioni di tipo “proiettivo” come: lanciare una occhiata … gettare l’occhio… a perdita d’occhio… a colpo d’occhio … fulminare con lo sguardo … penetrare con lo sguardo… abbracciare con lo sguardo … gettare il malocchio … mangiare con gli occhi …
I fumetti sono un altro veicolo di questa concezione. Basterebbe pensare alla vista di Superman o allo sguardo di Mandrake.
Lo sguardo, la vista, l’occhiata sono gli agenti di questa azione che gli occhi esercitano sugli oggetti osservati. E’ come se l’occhio emettesse dei sottili tentacoli, una sorta di prolungamento e proiezione del tatto per giungere a “toccare” l’oggetto.
Nell’Ottica di Euclide questa capacità dell’occhio assume la veste geometrica dei raggi visuali rettilinei , che l’occhio proietta sull’oggetto formando una piramide visiva avente per vertice l’occhio e per base il contorno dell’oggetto.
In questo modello l’occhio è considerato l’agente principale della visione; la luce sembra svolgere, invece, un ruolo di “servizio”, come se si limitasse a “spazzare” il buio che copre gli oggetti e impedisce all’occhio di vederne le forme e i colori. Sebbene siano entrambi necessari, i due compiti (quello dell’occhio e quello della luce) restano separati. In un certo senso è come se il fascio visivo proiettato dall’occhio e il fascio luminoso proiettato dalla sorgente si incontrassero soltanto sulla superficie dell’oggetto.
Facendo ricorso ad una metafora termico-tattile, potremmo anche pensare che la luce che illumina i corpi sia simile al calore che li riscalda, e che l’occhio sia simile alla mano che si stende per sentirne il calore.
Ora, per tornare al nostro esperimento con il fascio laser, se si è convinti di poter vedere una luce che ci passa davanti agli occhi, vuol dire che si pensa ancora all’occhio come ad un organo provvisto di una capacità visiva propria, indipendente dalla luce.
IL MODELLO “RICETTIVO”: L’occhio riceve la luce diffusa dagli oggetti
Se, invece, si sta affermando un modello di tipo “ricettivo”, si comincia a pensare che la luce non si limiti ad illuminare l’oggetto (soffermandosi, per così dire, su di esso), ma che prosegua il suo cammino giungendo fino all’occhio.
Ora, questo secondo tratto del cammino ottico è tutt’altro che scontato dal punto di vista concettuale. Se, infatti, è possibile osservare talvolta i fasci di luce che illuminano gli oggetti, non accade mai di osservare fasci di luce che dagli oggetti “rimbalzano” fino a raggiungere gli occhi. Questi fasci li possiamo soltanto ipotizzare, cioè immaginarceli con la mente. E questa è una operazione concettuale più difficile da compiere.
Dobbiamo ipotizzare, insomma, che quando la luce emessa dalla sorgente illumina un oggetto, come un granello di polvere, questo non la trattenga sulla sua superficie (come una sorta di “vernice” luminosa), ma la respinga in qualche modo verso i nostri occhi, creando una sensazione visiva dell’oggetto. Ciò che avviene per il singolo granello di polvere avverrà per ciascun punto della superficie di una parete o di un oggetto più grande, che potremo considerare come un insieme di tanti granelli.
Poiché tutti gli occhi presenti nel laboratorio vedono l’oggetto, dobbiamo pensare che la luce venga riflessa in tutte le direzioni possibili. Diremo, con un termine scientifico che la luce subisce una riflessione diffusa.
Se tutti gli osservatori possono vedere un punto illuminato al centro del girotondo, vuol dire che la luce arrivata in quel punto viene riflessa verso tutti i componenti in ogni direzione.
In conclusione possiamo dire che l’occhio vede perché riceve la luce diffusa dagli oggetti.
RIASSUMENDO
Abbiamo visto finora come nell’interpretazione dei fenomeni luminosi si confrontino due diverse visioni.
Una visione “statica”, che vede nella luce un agente capace di modificare lo “stato” di trasparenza del mezzo interposto tra gli oggetti e le sorgenti.
Una visione “dinamica” , che vede nella luce un “quid” emesso dalla sorgenti e capace di raggiungere gli oggetti illuminandoli.
In entrambi i casi si creano le condizioni perché l’occhio possa vedere.
Anche riguardo alla funzione dell’occhio abbiamo visto confrontarsi due diversi modelli interpretativi.
Un modello emissivo che ritiene l’occhio capace di emettere un “potere visivo” (vista, sguardo, raggi visuali, …) con il quale esplora l’oggetto, percependone forme e colori.
Per quando riguarda, invece, la geometria dell’azione luminosa o dell’occhio, le diverse visioni concordano nel ritenere che tali azioni debbano seguire un andamento rettilineo. Insomma: che si tratti di raggi luminosi o di raggi visuali è convinzione prevalente che debba trattarsi di raggi rettilinei.
Le poche prove che abbiamo raccolto sinora sembrano deporre a favore di questa convinzione, anche se abbiamo sperimentato che è impossibile isolare un singolo raggio rettilineo all’interno di un fascio luminoso. Quando abbiamo cercato di restringere il foro oltre un certo limite abbiamo visto la luce sparpagliarsi in un modo molto strano, formando strane frange di righe chiare e scure (diffrazione).
Spostiamo ora la nostra attenzione sui corpi che vengono illuminati, per cercare di capire meglio come essi interagiscono con la luce.