IL PROTOTIPO DELLE IMMAGINI: IMMAGINI PER CONTATTO E PRESSIONE
L’aspetto più stupefacente delle immagini è indubbiamente quello della loro somiglianza con l’oggetto o la persona a cui si riferiscono.
Per secoli e millenni la capacità di produrre immagini simili al vero (vero-simili) è stata ritenuta il massimo obiettivo dell’abilità artistica, confinante con le pratiche della magia.
Con l’immagine si crea un “doppio”della cosa, che riesce a darci le stesse sensazioni visive dell’originale e ne costituisce, a volte, il sostituto o il succedaneo.
Certamente le prime immagini involontarie sono state le orme che i nostri progenitori hanno impresso nel fango o sulla sabbia del terreno che hanno calcato con i loro piedi. Calcare deriva da calx, calcis ‘calcagno’, la parte del piede che preme più fortemente sul terreno; ri-calcare, significa letteralmente ri-passare sulle stesse orme ; l’etimo di orma è incerto, ma sembra che possa derivare da ormare ‘seguire le tracce lasciate sul terreno’, probabilmente connesso con osmare ‘fiutare’, come fanno i cani da caccia che seguono le tracce degli odori rilasciati dalla selvaggina ( ricordandoci con questo che oltre alle immagini visive, sono presenti anche quelle olfattive) . L’orma è testimone attendibile di un contatto momentaneo che ha lasciato, tuttavia, una traccia permanente.
Le impronte delle mani impresse sulle pareti delle caverne preistoriche esprimono, invece, una volontà precisa di lasciare traccia di sé.
Ma anche impronta deriva da imprimere, cioè dalla pressione che si esercita su una superficie affinché vi rimanga impressa la traccia-immagine dell’oggetto premuto.
Un’altra tecnica di riproduzione fedele è quella del calco , che si realizza premendo sulla superficie dell’oggetto un materiale plastico (cera, creta, stucco, …) che aderisce alla superficie riproducendone (in negativo) le fattezze. Si pensi, per esempio, alle maschere mortuarie e all’uso rituale che ne facevano i romani. Mettersi una maschera è un po’ come diventare la persona da cui la maschera è tratta. Basta riempire il calco con altro materiale plastico che può consolidare (gesso) ed ecco che si restituisce una immagine in positivo.
Con lo stampo è di nuovo attraverso il contatto e la pressione che si stabilisce tra l’originale e il supporto materiale (carta, stoffa, lamiera, ceralacca). Il timbro è lo strumento con cui l’autorità burocratica attesta l’autenticità di un documento (anticamente, il sigillo impresso sulla ceralacca). E’, dunque, attraverso la pressione che che la materia plastica aderisce intimamente alla superficie dell’oggetto ricavandone un calco-immagine che ne riproduce i minimi particolari. Questo procedimento meccanico costituisce il primo modello concettuale capace di spiegare la straordinaria somiglianza tra la cosa e l‘immagine-copia.
Questo modello è alla base della maggior parte dei termini con i quali noi ci riferiamo all’immagine, e continuiamo ad adottarlo, anche in quei casi (come ad es. le ombre, le immagini della camera oscura o degli specchi) nei quali non c’è alcun contatto diretto tra l’oggetto e il supporto dell’immagine; non è un caso se seguitiamo a dire, infatti, che una immagine resta impressa nella memoria o sulla lastra fotografica.
Anche nelle immagini prodotte dai pittori e dagli scultori non c’è alcun contatto tra l’oggetto rappresentato e la tela o il blocco di marmo, ma è come se l’artista facesse da tramite per un contatto indiretto trasferendo sul supporto il tocco delle sue mani e dei suoi strumenti. Abbiamo visto che secondo il mito dell’origine della pittura quest’arte nasce dal desiderio di conservare il profilo della persona amata e si realizza con una operazione di ricalco dell’ombra.