Il primo suggerimento circa la possibile utilizzazione della camera oscura da parte dei pittori è probabilmente quello che fornisce Giovan Battista Della Porta offre nella già citata “Magiae Naturalis“ .
Della Porta spiega “Come alcuno che non sappia dipingere, possa disegnare l’effigie d’un huomo, o d’altra cosa, purché sappia solamente assomigliare i colori. E questo artificio non è da disprezzarsi. Dia il sol nella fenestra, e appresso a quel buco porrai l’huomo, o l’imagini di quelle cose che vogliamo dipingere, che il sole illumini l’imagini; ma non il buco; al buco porrai incontro una carta bianca, e tanto andrai accomodando l’huomo al lume, avvicinando, e dilungando, mentre vedrai la perfetta imagine di colui, che vuoi ritrahere sopra la tavola, allora quello che vorrai pingere, poni i colori sopra la tavola dove appareno, del volto, della bocca, degli occhi, e così di tutta la figura che appare, così partendosi qui l’oggetto, resterà la stampa nella carta, e si vedrà in quella, come se la vedessi in uno specchio. ( Magiae Naturalis , Libro XVII , Capitolo VI , pag. 485 )
E’ noto che molti pittori del Settecento ( in particolare il Canaletto ) hanno utilizzato largamente questo dispositivo.
Stefano Bracalente ci ha messo al corrente delle interessanti ricerche condotte a partire dal 1986 da Roberta Lapucci ( capodipartimento del settore conservazione presso l’Università americana Saci a Firenze ) circa l’ipotesi che Caravaggio possa aver fatto un uso particolarmente sofisticato della camera oscura, per ottenere gli effetti di luce che caratterizzano i suoi dipinti (ed anche quelli di vari pittori fiamminghi, per es. Vermeer).
Sulla base delle intuizioni di Roberto Longhi e delle supposizione di David Hockney, la Lapucci è giunta alla conclusione che il pittore possa aver fatto ricorso all’ausilio di strumenti ottici come il foro stenopeico, lenti e specchi.
David Hockney (Il segreto svelato, 2000) ha esaminato uno smisurato numero di opere, soprattutto di maestri fiamminghi, ricavandone la convinzione che sin dal primo Quattrocento i pittori delle Fiandre abbiano utilizzato specchi, lenti e camere ottiche per proiettare l’immagine direttamente sulla tela e poi eseguire delle operazione di puro ricalco.
Hockney si è anche avvalso dei mezzi tecnici offerti dagli studi cinematografici di Hollywood, per una ricostruzione delle procedure di tali pratiche pittoriche. Questa sua ricostruzione è illustrata in un interessantissimo filmato visibile su YouTube.
Riportiamo anche la scena tratta dal film “La ragazza con l’orecchino di perla” nella quale il pittore Vermeer spiega a Gret (la ragazza) il funzionamento della camera oscura.