INTERVENTO PUBBLICATO NEGLI ATTI ON-LINE DEL CONVEGNO
IL CONTRIBUTO DELLA DIDATTICA SCIENTIFICA ALL’INCLUSIONE SOCIALE (E SCOLASTICA)
di Ettore Fedeli e Marisa Alessandroni
Perché nelle attività rivolte all’inclusione e riabilitazione di soggetti disabili si può parlare di musico-terapia, arte-terapia, teatro-terapia e non di scienza-terapia?
A differenza delle materie umanistiche, la scienza è ancora ritenuta materia troppo difficile e specialistica per poter essere apprezzata da questi soggetti. Quante volte sentiamo ripetere: “La fisica, la matematica? Per carità, non ci ho mai capito niente”.
Opinione condivisa dai familiari dei nostri utenti, che hanno espresso le loro perplessità in modo molto schietto: “Ma quissi le capisce le cose che je spieghete?
Tradotto liberamente dal marchigiano, significa: “Ma se la scienza è così difficile, come pensate di fargliela capire?” E, soprattutto: “Se non l’hanno capita quando andavano a scuola, perché dovrebbero capirla adesso?
L’esperienza, in corso da cinque anni nei Centri Socio Educativi Riabilitativi (CSER) dell’Ambito Territoriale Sociale XX della Regione Marche, ha dato qualche risposta positiva a questi interrogativi e dimostrato che anche un Laboratorio Scientifico può contribuire a creare momenti di forte stimolo intellettuale, gratificazione personale e inclusione sociale.
Un approccio radicalmente diverso
Naturalmente occorre un approccio alla scienza alquanto diverso da quello tradizionale, che, del resto, ha ampiamente mostrato la sua inefficacia anche nei normali corsi di studio.
Sistematicamente, infatti, le indagini PISA-OCSE-INVALSI hanno rilevato due carenze di fondo nella preparazione degli allievi del Biennio della nostra Scuola Superiore, e cioè: scarsa padronanza della lingua italiana e delle nozioni scientifiche.
Il percorso interdisciplinare “La luce e l’ombra, l’occhio e la visione”, che abbiamo iniziato a sperimentare nel Centro C.S.E.R. “La Serra” di Casette d’Ete, era nato in ambito scolastico proprio per tentare di porre rimedio ad entrambe queste carenze. (Progetto “IL FILO DI ARIANNA”, www. conilfilodiarianna. it / Per una cultura unitaria)
Insegnanti di materie linguistiche e scientifiche di tutti gli istituti scolastici di Fermo hanno lavorato insieme, nella convinzione che, al di là dei linguaggi specifici delle diverse discipline, la competenza linguistica di base sia necessaria non solo per l’espressione, ma per la formulazione stessa del pensiero.
Il tema della visione, per la sua ampia valenza culturale, consentiva di sviluppare una forte sinergia tra gli aspetti scientifici, artistici, filosofici, linguistici, storici e letterari, che caratterizzano unitariamente qualunque fenomeno.
È sufficiente scorrere un qualsiasi testo scolastico per rendersi conto della diversità di un approccio di questo tipo e farsi un’idea delle ragioni per le quali un approccio tradizionale di tipo nozionistico (purtroppo ancora prevalente), incentrato sul testo e alieno da pratiche di laboratorio, sia destinato a non funzionare e a produrre effetti di esclusione e rigetto.
Perché l’approccio “nozionistico” non funziona (per nessuno).
Nei manuali scolastici lo studio della luce (l’ottica) inizia quasi sempre con una breve introduzione nella quale vengono anticipate le sue caratteristiche principali (sorgenti luminose, raggi rettilinei, riflessione, rifrazione, ecc.); a volte si anticipa persino che la luce è un’onda elettromagnetica e che si propaga alla velocità di 300.000 km/sec.
Quando poi si entra nel merito, per esempio con la trattazione delle ombre e della camera oscura, con pochi “semplici” raggi rettilinei (come quelli in figura) si pensa di spiegare in maniera esaustiva aspetti molto complessi come la formazione di una penombra intorno all’ombra e il rovesciamento delle immagini nella camera oscura.
Niente di più chiaro e corretto, si direbbe. Cosa c’è, allora, che non va ?
- “Uccide” la curiosità, perché nega la meraviglia e il senso di mistero, che sono insiti in ogni fenomeno naturale e, come sostenuto da filosofi (Aristotele) e scienziati (Einstein), sono all’origine del pensiero filosofico (e scientifico).
- È a-storica, perché ignora che ognuna di quelle nozioni, banalizzate come “ovvie”, ha richiesto un lungo e travagliato processo di chiarimento. Ignora anche che quelle nozioni sono “datate” e sono state superate dai successivi sviluppi scientifici.
- Tradisce una sfiducia programmatica nella capacità dell’alunno di ripercorrere (con l’affiancamento dell’insegnante) il percorso che porta a “capire” la nozione. Ti dico io come stanno le cose, perché da solo non ci arriveresti mai. Così facendo, nega il piacere della ricerca e la gratificazione della conquista.
- Si propone di “istruire” e “inculcare” nozioni “corrette”, accontentandosi di una loro ripetizione mnemonica e di una applicazione meccanica, piuttosto che di una reale comprensione (quante cose sappiamo, che abbiamo veramente capito ?). ” Il capire va oltre il sapere “ – Johann Gottlieb Fichte
Il nostro tentativo di un percorso diverso: All’inizio era il buio!
Un percorso sulla luce non può che iniziare dal buio. Lo suggerisce la Bibbia, e ancora di più la nostra esperienza di vita prenatale. Soltanto dopo “Dio disse, sia la luce” e solo dopo nove mesi siamo “venuti alla luce”. L’esperienza del buio, in una stanza ben oscurata, è una esperienza emotivamente coinvolgente e intellettualmente stimolante. Abbiamo scoperto che al buio si sta bene, ci si rilassa, ci si concentra di più su quello che si dice. Abbiamo scoperto che è sufficiente pronunciare una parola perché nel buio “appaia” l’immagine dell’oggetto evocato da quella parola, e ad essere evocati non sono solo la sua forma e il suo colore, ma anche il peso, la consistenza, l’odore, il sapore (se commestibile), il suono che emette quando viene percosso. Insomma, al buio si scopre che l’immagine viene dalla nostra mente (è virtuale) ed è un’immagine alla quale contribuiscono tutti i sensi, non solo la vista.
Un’esperienza che si può arricchire organizzando una cena al buio con l’Unione Italiana Ciechi o una visita al Museo Omero di Ancona (l’unico museo per non-vedenti, dove tutti possono scoprire un’estetica della tattilità, toccando copie di opere d’arte famose).
Le ombre. La Caverna di Platone.
Quando finalmente nel buio si accende una candela, sullo schermo compare l’ombra (in questo caso di un modellino del corpo umano).
Siamo nella condizione descritta da Platone nel mito della caverna, condannati come gli schiavi incatenati a vedere solo ombre. Ci siamo costretti ad immaginare cosa stesse avvenendo dietro quello schermo quando l’ombra si ingrandiva o si rimpiccoliva o quando, ad un certo punto, diventava doppia e poi tripla. Abbiamo scoperto che l’ombra non è singolare ma multipla (ogni candela accesa forma una nuova ombra) e che la penombra è la zona in cui le diverse ombre non sono perfettamente sovrapposte.
Abbiamo scoperto che l’ombra non è figlia solo del corpo, ma anche della sorgente luminosa: se nell’ombra riconosciamo la forma del corpo, nella penombra riconosciamo la forma (rovesciata) della sorgente.
E abbiamo intuito da soli che la luce va dritta: se compare una nuova ombra più in basso a destra, forse vuol dire che è stata accesa un’altra candela, più in alto a sinistra.
Il mondo alla rovescia. Meraviglie della camera oscura
Stavolta, la luce non viene da una candela, ma la facciamo entrare dall’esterno, attraverso un foro praticato sui cartoni da imballaggio, utilizzati per l’oscuramento. Meraviglia! Avvicinando uno schermo al foro, ci appare il mondo esterno rovesciato! In questo caso si trattava di uno degli alberi del giardino della Serra. Se poi, casualmente o volutamente, qualcuno si trovasse a passare sotto quell’albero, lo vedremmo camminare a testa in giù. Vi assicuriamo che la reazione emotiva è molto forte, tanto nei bambini dell’infanzia, quanto negli studenti del liceo (abituati a ben altri effetti speciali). Qui vedete la reazione di Francesco, che ci ha chiesto di poter toccare quell’immagine fatta di sola luce. Immediatamente scatta la domanda. Ma come è possibile!?
Dalla meraviglia allo sforzo e alla gratificazione del capire.
Qui vedete gli sforzi di Serena, per capire come possa quell’albero entrare nel foro, oltretutto, rovesciandosi. Questi sforzi sono la parte più importante della nostra attività, sia per lo stimolo che esercitano sui ragazzi, sia per la maggiore comprensione dei processi mentali che entrano in gioco. Questo è più importante che ottenere la semplice ripetizione meccanica della “giusta risposta”.
Meglio di noi esprime questo concetto Cristiana, ventenne, immobilizzata in carrozzina che fa grande fatica a parlare, ma non rinuncia mai a intervenire nella discussione. Quando le risposte stentano ad arrivare, lei ci chiede pazienza: “Zitto. Ci voglio arrivare da sola”, perché arrivarci da sola le dà grande soddisfazione. E siccome non si tratta mai di quesiti banali, ogni volta che riusciamo ad “arrivarci” o anche solo ad avvicinarci, facciamo festa: mille nozioni imparate passivamente non valgono una sola di queste conquiste personali.
La lentezza, a cui questo ci costringe, permette di gustare le sfumature del fenomeno e di apprezzare ogni piccolo progresso nella sua comprensione (lo Slow Learning è lo Slow Food della mente).
Bello! Bravo! Ti voglio bene! Tanto. La dimensione estetica e affettiva.
Così ci gratifica Marco, ragazzo down ventenne, quando un incontro è stato particolarmente interessante. Fatica a esprimersi con le parole, ma ha imparato a farlo con la macchina fotografica, con la quale fissa i momenti che a suo avviso sono stati i più belli.
Qui vedete il manifesto della mostra che abbiamo organizzato nel Palazzo Comunale di Monte Urano, suo Comune di residenza.
Meglio di tanti discorsi le sue foto esprimono quella dimensione “estetica” che è stata storicamente rimossa, perché ritenuta inconciliabile con una visione puramente “quantitativa” e “oggettiva” della scienza. Ma la scienza, per fortuna, non è un freddo catalogo di formule ed enunciati. L’osservazione e lo studio dei fenomeni naturali è prima di tutto un’esperienza affascinante, godibile esteticamente ed emotivamente coinvolgente.
Proprio questa sua dimensione “emozionale”, la rende accessibile a tutti, senza esclusioni. Come non occorre saper leggere gli spartiti per godere della musica; così non occorrono sofisticati strumenti matematici per godere della scienza.
Marco smentisce anche un altro stereotipo corrente, quello della “scienza come regno della pura e fredda razionalità”. Ci dice che quando un gruppo di persone condivide la meraviglia per un fenomeno naturale, il mistero delle sue possibili spiegazioni e la gioia della scoperta, tra quelle persone nasce un rapporto che non è solo intellettuale, ma diventa anche affettivo.
Alida, cinquantenne, non perde una battuta del dialogo, ma non interviene mai, a meno di non essere chiamata in causa; dà sempre risposte pertinenti, che spesso sbloccano la discussione. Ci ha spiegato che il suo atteggiamento è un retaggio di brutte esperienze scolastiche, nelle quali una risposta sbagliata era bollata come colpa, mancanza di impegno o, peggio, di intelligenza. “Qui, invece, non abbiamo paura di sbagliare”
Francesco, ventenne diplomato all’Istituto Agrario, si giustifica spesso dicendo “Scusa, se mi sono sbagliato”. Ogni volta ci dà l’occasione per ribadire che qui non ci sono “giudizi” né, tantomeno, voti e bocciature; siamo tra “amici”, per divertirci con la scienza e praticare davvero l’adagio “sbagliando s’impara”.
Barbara, cinquantenne down, non ha, invece alcuna paura di sbagliare, anzi, se non è d’accordo con te, ti dice che “non capisci niente”. Per fortuna vuole sempre ripetere personalmente gli esperimenti e quelli sono (a volte) più convincenti delle nostre parole.
Sviluppi incoraggianti. Cultura e Salute. Fermo Learning City UNESCO
Perché dopo cinque anni i nostri ragazzi non si sono ancora stancati di una attività, ritenuta solitamente tanto difficile e impegnativa? Abbiamo cercato di capirne le ragioni chiamando a riflettere con noi varie realtà culturali impegnate della divulgazione scientifica. Ci siamo chiesti se, accanto alle altre terapie, non si potesse cominciare a parlare anche di una SCIENCE THERAPY.
Abbiamo capito, però, che era il caso di superare il concetto stesso di terapia, perché esso in qualche modo richiama una qualche malattia dalla quale guarire.
Si tratta, forse, di affermare più semplicemente che la cultura (umanistica o scientifica, e meglio ancora se unitaria e interdisciplinare) contribuisce in maniera significativa alla salute e al benessere delle persone. In altre parole: la cultura fa bene alla salute di tutti.
È quello che sostiene da anni la IULM (Libera Università di Milano) con i suoi corsi su CULTURA E SALUTE, tenuti dal Prof. Aldo Grossi, rivolti alla formazione degli operatori sociali necessari per un nuovo Welfare culturale.
Il progetto territoriale proposto dall’Ambito Territoriale Sociale XX (e XIX)
Su questa base, per impulso della coordinatrice Marisa Alessandroni e di Pamela Malvestiti dirigente dell’Ambito Territoriale Sociale XX dell’ASUR Marche si è deciso di avanzare, alle Scuole e ai Centri interessati dalla sperimentazione in corso, una proposta organica di collaborazione, per fare dell’inclusione sociale l’elemento qualificante per la progettazione e la sperimentazione di percorsi culturali rivolti alla generalità della popolazione. Ciò che supera il banco di prova dell’infanzia e della disabilità va sicuramente bene per tutti. Le Scuole e i Centri, diffusi su tutto il territorio, possono costituire una rete in grado di diffondere cultura e salute, a partire dai familiari degli utenti, fino a coinvolgere strati di popolazione mai raggiunti dalle consuete iniziative culturali.
Intanto, il nostro laboratorio è stato esteso agli altri CSER dell’Ambito Territoriale, Il Girasole di S. Elpidio a Mare, La Cittadella e il Dopo di Noi di P. S. Elpidio, assumendo la denominazione, che può apparire velleitaria e presuntuosa, di “Laboratorio di ricerca sulla felicità e i bisogni fondamentali”. In realtà abbiamo solo preso atto della proclamazione da parte dell’ONU di una Giornata Mondiale, il 20 marzo, dedicata al diritto di ognuno di ricercare la felicità e il benessere. Abbiamo iniziato una sorta di scalata della Piramide di Maslow, partendo dai bisogni fisiologici fondamentali (respiro, alimentazione, sonno, abbigliamento, movimento, comunicazione), riservandoci di esplorare in seguito anche i bisogni sociali e spirituali.
Al tempo stesso si è estesa la rete delle scuole che aderiscono al progetto.
L’ultima adesione importante è stata quella del Liceo Artistico, che ci ha chiesto di sperimentare i nostri percorsi con gli alunni che hanno disturbi dell’apprendimento, disagio sociale o disabilità.
Fermo Learning City dell’UNESCO.
Questa proposta, fatta propria anche dall’Ambito Territoriale Sociale XIX del Fermano, ha incrociato felicemente il recente riconoscimento che la Città di Fermo (e il suo territorio) ha ottenuto dall’UNESCO come Learning City (Città dell’Apprendimento), come città, cioè, che vuole qualificarsi per l’impegno a promuovere un apprendimento continuo (0-99 anni) e inclusivo (che non esclude le categorie più fragili, bambini, anziani, disabili, immigrati).
Chissà che la nostra riflessione sulla disabilità non riesca a suggerire qualcosa di utile per migliorare le condizioni di tutti?