Il Mito e la Scienza

I MITI E LE FAVOLE SONO ANTISCIENTIFICI?

Si potrebbe obiettare che questa digressione nel campo della mitologia rischi di allontanarci da quelli che dovrebbero essere i requisiti fondamentali della scientificità, come ad esempio, la razionalità e l’attenzione ad aspetti puramente sperimentali e misurabili. 

Secondo un’antica polemica l’indugiare sugli aspetti fantastici e irrazionali presenti nei miti e nelle favole, potrebbe ritardare il superamento della mentalità magica e animistica che caratterizza il bambino nelle prime fasi del suo sviluppo e ostacolare la formazione di una mentalità scientifica più rigorosa.

Riteniamo che questi timori siano legati, da un lato, a una visione riduttiva della scienza,  e, dall’altro, a una scarsa considerazione delle fasi dello sviluppo cognitivo del bambino.  Temiamo si tratti di quella stessa visione, che tende a separare (e contrapporre) la sfera delle emozioni e della fantasia creativa, da quella della razionalità, della misura e del calcolo. La fase magico-animistica del pensiero infantile viene considerata come una sorta di “malattia infantile” dalla quale guarire al più presto con dosi massicce di “nozioni” scientifiche “corrette” e sistematiche. E’ un’impostazione che si preoccupa quasi unicamente dei “contenuti informativi” da trasmettere e presta scarsissima attenzione al processo di formazione di quelle nozioni, alle strutture e ai processi mentali che quei contenuti mettono in gioco.

IL VALORE SIMBOLICO E CONOSCITIVO DEI MITI (E DELLE FAVOLE) 

Si tratta di una polemica ormai superata da una valutazione più approfondita del ruolo positivo che il mito e la fantasia creatrice svolgono all’interno del processo conoscitivo. 

Ludovico Geymonat nella sua Storia del pensiero filosofico e scientifico chiarisce molto bene questo ruolo.

Per spiegare i fenomeni naturali l’uomo, prima che alla ragione e all’osservazione, fece ricorso alla fantasia, e si formarono così interessantissimi miti intorno all’origine del mondo, al destino dei mortali, alle grandi forze dominanti lo sviluppo degli eventi.

Il mito, anche se non possiede l’universalità e la lucidità dell’affermazione teorica, non va considerato come un complesso di falsità e quindi un ostacolo alla conquista del vero. Al contrario esso ha avuto una funzione molto positiva: ha educato l’uomo a non fermarsi ai semplici fatti nella loro molteplicità disorganica, ma a considerarli connessi l’uno all’altro, cercando i principi di ciò che accade intorno a noi, e, attraverso i principi, i mezzi per agire sulla natura onde trasformarla a vantaggio dell’umanità.

In questa primitiva ricerca il mondo umano e quello divino si trovano strettamente legati l’uno all’altro, e l’indagine si estende perciò dalla cosmogonia alla teogonia.

Ai miti si connettono i riti religiosi, propiziatori, con i quali l’uomo crede di conquistarsi il favore delle potenze dominatrici del mondo. (Garzanti, 1970, pp.18-19)

ARISTOTELE E LA MERAVIGLIA

Aristotele, d’altra parte, molti secoli prima aveva già compreso che il pensiero filosofico nasce da quell’emozione profonda dell’animo umano, che è la “meraviglia” suscitata dall’esperienza del mondo e della sua complessità.

Infatti gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli astri, o i problemi riguardanti la generazione dell’intero universo. Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in certo qual modo, filosofo: il mito, infatti, è costituito da un insieme di cose che destano meraviglia. Cosicché, se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dall’ignoranza, è evidente che ricercarono il conoscere solo al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità pratica.

(Aristotele, Metafisica, 982b-983a, trad. di Giovanni Reale)

LE FIABE E LA MENTALITA’ SCIENTIFICA

Anche le fiabe, come i miti, sono state accusate di ostacolare la formazione della mentalità scientifica dei bambini e il superamento della fase magico-animistica che caratterizza il loro primo pensiero.

Bruno Bettelheim nel suo “Il mondo incantato” ha rivalutato sul piano psicanalitico il rapporto tra contenuti fiabeschi e tensioni emotive infantili, mostrando come le fiabe, stimolando la riflessione su sensazioni e sentimenti, attraverso i giochi che la mente può fare liberamente su di essi, possono favorire la crescita sul piano conoscitivo.

Gianni Rodari nella sua difesa delle fiabe, sosteneva da parte sua:

Le fiabe, mobilitando le risorse della fantasia, non distolgono il bambino dall’osservazione e riflessione sul reale, dall’azione sulle cose, ma forniscono all’osservazione, alla riflessione, all’azione, una base più ampia e disinteressata (cfr Aristotele, ndr). Non esistono contenuti “pericolosi”, purché i bambini siano in grado di scoprire i meccanismi del mezzo che li trasmette e di lavorare sulle strutture. Le fiabe, come il cinema e la televisione, prima ancora che i contenuti, trasmettono un esercizio delle strutture dell’immaginazione, un movimento, un linguaggio, delle inversioni, deformazioni, manipolazioni della realtà. 

Questo vale, ovviamente, per i “buoni” racconti e per i miti in particolare, nei quali la fantasia non si adagia su un piatto realismo e un gretto conformismo, ma diventa curiosità, creatività, capacità d’immaginare cose diverse, di andare controcorrente e di rompere gli schemi abitudinari. Non si tratta, quindi, d’indulgere in “fantasticherie” o “vezzeggiamenti” infantili, ma di promuovere quegli atteggiamenti mentali innovativi che caratterizzano il modo di pensare dello scienziato. Prima che di formule ed enunciati, la scienza si è alimentata del coraggio con cui i grandi scienziati (Copernico, Galileo, Newton, Einstein, …) hanno saputo guardare al mondo con uno sguardo radicalmente diverso da quello dei loro contemporanei.

Per tutte queste ragioni occorre guardare con attenzione e rispetto al ruolo positivo che il pensiero mitico e la fantasia esercitano in questa fase dello sviluppo del bambino. 

Occorre resistere alla tentazione di bruciare le tappe, proponendo messaggi chiusi, statici, nozionistici e un linguaggio fotografico, denotativo, impersonale, che finirebbero per penalizzare gli aspetti di espansione e mobilitazione del pensiero infantile.

 

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